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Perché il papa ha “abdicato”

Creato il 13 febbraio 2013 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria

benedetto-XVI-586x439Uno statunitense, un simpatico ebreo coi RayBan, la scrivania in uno studio legale che fa da copertura, da tempo andava profetizzando che avrebbe costretto alle dimissioni S.S. Benedetto XVI. Egli, legato a filo doppio con un giornalista abile a penetrare i segreti vaticani, oggi potrebbe supporre d’avere raggiunto il suo scopo. Morto un papa se ne fa un altro, dicono tuttavia i romani da tempo immemorabile. A parte taluni dettagli formali, fra la morte e l’abdicazione (di questo si tratta, non “dimissioni”) non c’è grande differenza. Papa Benedetto, anticipando il conclave, rompe l’accerchiamento dov’era stretto anche da quelli che invece avrebbero dovuto tutelarlo. Le profezie sulle sue dimissioni, circolate nel 2012, anche in ambienti ebraici favorevoli a Benedetto XVI hanno una spiegazione. Quando nel 2009 pellegrinò in Terra Santa, i servizi israeliani rubarono un po’ delle sue urine (lo fanno sovente coi visitatori illustri). Analizzatele, pronosticarono “quattro anni di vita” per il Pontefice. Era maggio del 2009: i quattro anni della prognosi israeliana sfumano fra meno di tre mesi. Il Papa ha una grave e dolorosa cardiomiopatia ipertrofica degenerativa. È un cuore che batte moltissimo e pompa pochissimo. Aggiungiamo l’età avanzata e altri disturbi vascolari, acuiti dalla scrivania, per comprendere che la possibilità di sopravvivere a lungo è alquanto improbabile; ancor meno probabile – ed è il pericolo maggiore – che egli sia lucido fino all’ultimo. Questo quadro clinico, direbbe un cardiologo, si aggiusta col bisturi. Certo, ma non quando si fa una chemio tre volte a settimana a causa d’una leucemia.

BXVI, consapevole delle sue condizioni, abdicando ha evitato due pericoli che incombevano: offrire il destro alle speculazioni sulla sua scomparsa e, cosa peggiore, finire sotto controllo altrui, quando le sue facoltà intellettive fossero attaccate dalla malattia.

Il vatileaks e la diffusione ad arte del documento in lingua tedesca (apparso esattamente in questi giorni del 2012, annunciava la sua morte entro un anno, cioè allo spirare della prognosi israeliana), dettero la certezza a BXVI che si agitavano i tentacoli dei circoli di Chicago, i più ostili alla Chiesa cattolica, ben decisi a contrastare la missione universale del papa, obiettivo fondante delle cerchie sataniche eredi spirituali di Saul Alinsky, ispiratore anche di Hussein Barak Omaba.

Il disegno fu chiaro dietro il paravento della lettera che annunciava l’attentato al Papa: di qualunque malanno fosse morto BXVI, il suo decesso sarebbe stato attribuito ad una mano assassina interna al Vaticano e, in tal modo, si sarebbe rimesso in moto il ventilatore col letame contro le Sacre Mura, per screditarne ancor più gli inquilini. Un copione riadattato da quello già visto per l’attentato a GPII. Si blaterò di “complicità interne” per mettere in ombra i mandanti da Mosca di Ali Agca, Oral Celik e Sergei Antonov, con le pesantissime complicità nelle maggiori capitali della Nato, inclusa Roma.

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