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Perché la Bagan Valley non è un Patrimonio dell’Umanità UNESCO?

Creato il 26 marzo 2014 da Angelozinna

Perché la Bagan Valley non è un Patrimonio dell’Umanità UNESCO?

Tutti conosciamo Bagan, la valle che un tempo era la capitale birmana ed è da oltre 700 anni l’area a più alta concentrazione di templi buddhisti del mondo. In molti la paragonano per valore storico e culturale ad altri imponenti monumenti religiosi, come Angkor Wat in Cambogia o Borobudur in Indonesia, ma una, essenziale, differenza separa la Valle di Bagan da questi importanti siti archeologici: Bagan non è un Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Il dibattito sul se Bagan meriti il titolo o meno va avanti da anni, dal 1996 per l’esattezza, quando per la prima volta il governo del Myanmar ha chiesto all’UNESCO di includere otto siti di interesse nella lista, ma nonostante le opinioni di esperti di storia birmana siano da entrambe le parti forti e motivate, l’ente delle Nazioni Unite non sembra aver ancora, dopo 18 anni, preso una decisione ferma.

Perché l’UNESCO non vuole inserire Bagan tra i Patrimoni dell’Umanità? La domanda che tanti visitatori sembrano porsi al primo impatto con la vallata illuminata dalla luci dell’alba non ha purtroppo una risposta né univoca né definitiva. I sostenitori di questa scelta appoggiano il rifiuto principalmente perché il valore storico delle pagode di Bagan è stato alterato in tempi recenti, nell’epoca del governo militare. Secondo la cultura buddhista infatti la costruzione di nuovi templi è un atto di grande valore e per questo Bagan ha continuato ad espandersi negli anni, fino a quando il governo ha deciso di fermare ogni nuova opera per concentrarsi sulla ristrutturazione delle già esistenti strutture. Seppure l’occhio del turista non sempre riesca a rendersene conto molte delle rovine di Bagan sono state rimesse in piedi con tecniche moderne, spesso senza seguire minimamente il disegno originale. Le storie che circolano sulla questione sono diverse: si parla, ad esempio, di architetti che per paura di confrontarsi con i generali hanno restaurato i templi in base al gusto personale dei dittatori e di dittatori con manie di grandezza che a sua volta hanno ordinato la costruzione di nuove pagode a proprio nome.

L’entità di questa modifiche e quanto queste incidano realmente sul valore di Bagan sono alla radice dei dibattiti. Mentre molti archeologi stranieri si dichiarano contrari all’inclusione di Bagan nella lista perché questo sarebbe come ammettere che l’ignoranza riguardo i principi base dell’archeologia può non solo essere perdonata, ma addirittura premiata, le autorità locali dichiarano queste affermazioni esagerate e lontane dalla realtà.

È vero che l’UNESCO potrebbe quindi, abbassando gli alti standard necessari per entrare a far parte dei Patrimoni dell’Umanità, perdere in parte la propria rispettabilità, ma è difficile pensare che dietro ad una scelta simile non vi siano motivazioni politiche. Degli otto siti proposti per la lista, tra cui anche il famoso Lago Inle, nessuno ne è ancora entrato a far parte, quando anche un regime come quello della Corea del Nord può vantarsi di essere presente. Durante gli anni del governo della giunta militare in Birmania molte campagne contro il turismo sono nate, prima tra tutte quella di Aung San Suu Kyi, per evitare che soldi ed investimenti dall’esterno finissero nelle mani dei dittatori, e l’attenzione mondiale sulla causa della liberazione della Birmania potrebbe aver giocato un ruolo importante nelle scelte dell’UNESCO.

Ma, come già detto, una decisione ferma non è ancora stata presa. Bagan, come gli altri siti, fa ancora parte della Tentative List, e l’UNESCO non ha escluso la possibilità che un giorno possa diventare un Patrimonio dell’Umanità. La Birmania rimane oggi uno dei paesi più poveri sul globo e la spinta economica che riceverebbe entrando a far parte della lista, sia attraverso finanziamenti che attraverso il turismo, potrebbe essere di grande aiuto. Al contempo il livello di corruzione e le scarse capacità di organizzazione e gestione del sito preoccupano l’UNESCO, che teme che il titolo possa recare più danno che beneficio agli oltre 2.000 templi. Data l’apertura e i primi segni di cambiamento del governo degli ultimi anni, un dialogo ha avuto inizio e il direttore generale dell’UNESCO ha visitato Bagan nel 2012 per discutere con i membri della squadra archeologica di corsi di formazione sul restauro e supporto nella gestione che aiuteranno Bagan a mantenersi intatta nel tempo.


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