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Perché le idee non funzionano

Da Marcofre

Questo post dovrebbe avere come sottotitolo: “Ovvero: perché nei racconti il mangianastri è impolverato”. Però sarebbe troppa roba, e non escludo che qualche lettore avrebbe finito col chiedersi:
“Che diavolo è un mangianastri?”

Scrivo ancora per combattere l’idea che si debba scrivere per illuminare, guidare, indicare la rotta perché il momento è difficile, e allora qualcuno deve prendersi la briga di mettersi alla testa del popolo e dirgli dove andare.
Per me questa idea può essere smontata con enorme semplicità accettando (quindi: facendo spazio) la realtà; e questa non è una, e nemmeno ha un solo colore. Ma moltissimi.

Se al contrario abbiamo la certezza di essere investiti di una missione, sarà uno scherzo piegare il mondo ai nostri doveri, e se recalcitra peggio per lui. Sarà di certo spazzato via.
Le sfumature, o dubbi sono per i deboli: giusto?
Sbagliato.

Di una cosa però occorre tenere conto. Vale a dire: se qualcuno decide di scrivere, cosa vuole combinare della letteratura che tenterà di produrre? Vuole darle la certezza di esistere ancora tra (diciamo), 47 anni? O ha ambizioni inferiori?

Se le sue ambizioni sono di avere tra le mani qualcosa che riporti sulla copertina il proprio nome e cognome, non ho dubbi: faccia il condottiero e arringhi le folle adoranti sempre orfane di leader.
È il periodo storico giusto. Una crisi del genere c’è il rischio che non si verifichi tanto presto, sul serio. Perciò sbrigatevi.

Se invece costui ha un’idea differente di letteratura, allora non ci sono dubbi, almeno per me. La realtà ha diversi piani, e posso usarne uno per interessare il lettore, catturarlo. Magari sì, posso persino parlare di un disoccupato, di un imprenditore fallito.
Però invece di seguire quel cammino, sterzerò e proporrò qualcosa di distante dall’ovvio.

Una storia dovrebbe contenere lo stesso peso di un’incudine; e con il termine “peso” non intendo che debba essere noiosa, piena di concetti sublimi, ermetici nonché filosofici. Bensì che sia reale, dimostri efficacia e abbia valore. Un simile risultato (per chi scrive), si raggiunge solo quando si scende dal mitico albero del pero, e si accetta che quella faccenda chiamata sbrigativamente “vita” è zeppa di complessità.

Per chi legge è una brutta faccenda, e la liquida con un: “Oh, che gli venisse un accidente a questo qui! Non potrebbe scrivere di cose più allegre?”
La risposta è “No”, perché un bel giorno ha scelto di percorrere una precisa strada, e non un’altra. Nessuno è obbligato a seguirlo, si capisce.
Nessuno però dovrebbe accontentarsi, ma mi rendo conto che il fascino di percorrere una strada in discesa in sella a una bicicletta la vince sulla prospettiva di scalare il passo Pordoi.

Esiste un’obiezione a questo ragionamento, che dice:

“Ma allora se ci sono più piani della realtà, come è possibile ricavare qualcosa di solido sul quale edificare per esempio un’opinione?”.

 

La questione è interessante, e proverò a fornire la risposta dal punto di vista di chi scrive.
Il lettore invece deve arrangiarsi, non può sempre pretendere che la pappa sia pronta, fredda e magari pure un po’ masticata.
La risposta alla domanda da dieci milioni di Euro potrebbe essere: si comprende che ci sono sfumature e diversità dopo aver iniziato una specie di “cammino di formazione”.

Per farla breve (perché il post è già troppo lungo): la complessità si affronta perché si è scoperto che la parola nasconde una forza inattesa, e sorprendente. Ciascuno la usa come vuole: male, molto male, malissimo.
Di rado bene.

In quest’ultimo caso si sono già gettate le basi per la costruzione di una sorta di “piattaforma” capace di leggere i diversi livelli della realtà. A questo punto diventa del tutto naturale chinarsi su cose molte concrete, senza paura. Se serve, un mangianastri coperto di polvere diventa un buon esempio di quella realtà marginale, perché rappresentante di quelle erbacce (gli esseri umani) che esistono, e non hanno dignità agli occhi dei leader, o dei loro plaudenti tifosi.

Per me le idee servono per togliersi dai piedi le persone. Una posizione che riscuote consenso e successo. Ma è sbagliata.


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