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Perchè non vinciamo

Creato il 13 settembre 2010 da Pierotieni

 

Perchè non vinciamo

di Raffaele Mantegazza

Perché non vinciamo? Perché la sinistra italiana non riesce a vincere? Mi è capitato nelle scorse settimane di avere in casa, l’uno dopo l’altro, elettricista, idraulico e giardiniere; alla fine dei lavori svolti con precisione e competenza, tutte queste persone mi hanno guardato con un misto di stupore e compatimento perchè ho osato chiedere la ricevuta fiscale (“ma lei vuole buttare via i soldi” “guardi che l’Iva sulla manodopera non la paga nessuno” “ma noi non fatturiamo mai i privati che non possono scaricare”). C’è ancora qualcuno di sinistra che dice che pagare le tasse è un dovere politico e morale perché la tassazione sul reddito è una forma di redistribuzione del medesimo,e dunque un modo perché i ricchi si facciano carico dei poveri? Proviamo a fermarci due secondi in più a un semaforo: veniamo investiti dalla cacofonia dei clacson rabbiosi e irati; a soffermarci un minuto di troppo in un bar a bere il cappuccino: ci scacciano in malomodo nemmeno avessimo la lebbra; a chiedere in un bar di scaldare il brodo per la pappa della bambina o di avere un po’ d’acqua per la ciotolina dei cani; proviamo a entrare in un negozio, in un ufficio pubblico, in un ristorante e respiriamo l’aria di maleducazione, di arroganza, di inciviltà che aleggia su questo Paese oramai da anni, come se qualcuno avesse spalmato una mano di pece su questa Italia così bella, calda e ospitale –in altri secoli! “Lo so che è il posto per i disabili, ma dai, solo 5 minuti” “Lo so che il vetro non va nel contenitore dell’umido, ma chi ha voglia di fare le scale” “Lo so che il biglietto andrebbe timbrato, ma tu vedi il controllore?”: coloro che parlano così sono poi stesse persone che si lamentano della spazzatura a Napoli o del buco nel bilancio delle Ferrovie. Non vinciamo perché cerchiamo di mettere il tetto a una casa che non ha le fondamenta, perché siamo troppo ottimisti pensando che in Italia esista un senso dello stato, un senso civico, un rispetto per le istituzioni, per la cosa pubblica, per i deboli e che a partire da questo terreno comune sia possibile una politica radicale. Oggi la politica radicale deve ricostruire lo stato borghese che è stato distrutto a colpi di maglio da una destra barbara, da un centro ambiguo e da una sinistra disattenta, ma soprattutto da un popolo, quello italiano, che aspira a diventare il più ignorante, volgare e servo d’Europa. Non tutti, lo so, si riconoscono in questa descrizione; ma occorre allora partire dai pochi (non prendiamoci in giro) non che “dicono cose di sinistra” ma che “fanno cose di civiltà”: pagano le tasse, lasciano il posto agli anziani sul bus, dicono gentilmente al venditore ambulante che non vogliono acquistare nulla senza far seguire la battuta razzista, rispettano le regole e semmai raccolgono firme per cambiare quelle ingiuste. A partire da questa minoranza occorre formare i giovani; è l’unica speranza, è l’unica possibilità , è l’unica via di uscita. Intanto continuiamo a candidarci e a votare ma finché non sarà costituita una nuova antropologia democratica finché non si saranno formate menti democratiche, il nostro voto potrà unicamente avere un valore testimoniale, e niente altro. Il PCI e la DC avevano le scuole di partito: non so se sia la soluzione ma so che il valore antropologico, vitale, umano della democrazia era il pane quotidiano di chi faceva politica o semplicemente di chi viveva in questo Paese. Occorre formare i ragazzi e le ragazze alla democrazia e alla politica; occorreva farlo ieri, domani sarà troppo tardi. Fino a quando non lo faremo, purtroppo sarà vero quelle che dice un mio amico, sindaco di un comune dell’Abruzzo: “gli italiani sono molto peggio di Berlusconi”

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