Nella storia americana, soltanto in tre occasioni il partito del Presidente è riuscito a guadagnare terreno nelle elezioni di mediotermine: 1934 (F.D.Roosevelt), 1998 (W.J.Clinton) e 2002 (George W. Bush), due delle quali (1934 e 2002) sulla scia di eventi del tutto eccezionali e particolari (Grande Depressione/New Deal ed 11 Settembre). La motivazione sta nel fatto che chi è al potere tende solitamente a pagare il prezzo di un malcontento comunque ed in ogni caso latente tra gli elettori e pronto ad esplodere specialmente quando la contingenza obbliga a scelte impopolari.
La sconfitta patita dall’Asinello nella notte di ieri sera, pur sonora (il GOP controlla adesso entrambe le camere), dovrà quindi necessariamente passare attraverso il filtro di un’analisi più razionale e, quindi, del ridimensionamento; senza dubbio un segnale per la “lame duck” Barack Obama, che paga l’ incapacità di uscire dalla crisi in un Paese che conta 60 milioni di poveri, la crescita del gigante cinese e quella che (erroneamente) viene percepita come una sudditanza verso la Russia negli scacchieri internazionali (Siria, Donbass, ecc), il tutto in un revival del declinismo anni ’70, ma non una catastrofe come potrebbe sembrare agli occhi dell’osservatore meno attento alle vicende ed alla storia dell’aquila dalla testa bianca.