“Egli non indossa il suo abito rosso
perché vino e sangue sono rossi,
E vino e sangue erano sulle sue mani
Quando lo trovarono con la morta,
La povera donna che egli aveva amato
E che egli aveva assassinato nel suo letto.”
Se vi foste chiesto di indovinare, di chi potrebbero essere questi versi secondo voi?
Provate ad azzardare un’ ipotesi.
Non barate, cercando di scorrere il testo.
Si parla di un omicidio. Dunque…Edgar Allan Poe?
Vi do un indizio. L’ autore era solito portare un girasole all’occhiello.
Questa è una ballata. “La ballata del carcere di Reading”.
Venne composta nel 1897, dopo che lo scrittore in questione ebbe scontato la sua pena. Due anni di pena. Reato di sodomia. Fu condotto in prigione in seguito a una brutta caduta che gli aveva provocato un ascesso all’orecchio. Dopo essere stato lasciato sotto una pioggia battente e schernito dalla folla. Dopo essere stato rasato a zero, come fosse un animale senza intendimento. Né sentimento. Egli. L’ alfiere della Bellezza.
Non è una poesia d’amore. E’ una poesia anche. Anche sull’ Amore.
“‘L’ uomo aveva ucciso ciò che amava
E per questo doveva morire.”
Dell’ assassino non ci restano che tre iniziali. C. T. W. Un membro della Guardia Reale a cavallo. Non ci viene detto di più. Perché sarebbe superfluo. Ridondante, perfino.
Perché lui ha a che fare con me. Lui ha a che fare con te. Probabilmente, lui ha a che fare con tutti noi. Nessuno esente.
“Eppure ogni uomo uccide ciò che ama,
e che questo lo sentano tutti
alcuni lo fanno con uno sguardo amaro
altri con una lusinga
il codardo lo fa con un bacio
il prode con una spada.”
Fermatevi un minuto. Per un intero minuto. Fermatevi.
Ricordate. “Eppure ogni uomo uccide ciò che ama…”. Si parla anche di voi. Quando è successo? Perché sì, è successo. E quale arma avete impugnato? E com’è stato? Com’è stato?
E, comunque sia andata, a voi non sarà chiesto di rimirare solo un tassello di cielo. Uno spiraglio che s’apre nello sguardo. Una sbarra che taglia a metà, inclemente, la Libertà dell’ autodeterminazione. La Possibilità.
“Io non ho mai visto un uomo che guardasse
Con occhio così ansioso
verso il minuscolo lembo d’azzurro
Che chiamano cielo i prigionieri
Perché ogni uomo uccide ciò che ama
Eppure nessuno di loro deve morire.”
Lui, l’ uxoricida in questione, “dondolerà”. E’ questo il termine specifico. “Swing”. Come quel genere musicale che si balla in modo così concitato. Nelle carceri inglesi questo verbo indicava un’azione. Essere impiccati. E un tempo. Una scadenza. Un ticchettio schizofrenico di lancette. Nel giro di tre settimane.
Nel carcere di Reading non c’è spazio per la Pietà. Perché Giustizia è Giustizia. E come quei carcerati condannati a camminare perennemente in cerchio, qui il cerchio deve chiudersi. La colpa, ouroboros famelico, torna nella colpa. E sangue evoca sangue.
L’aggettivo che più atterrisce durante tutta la Ballata è “Wistful”. “Ansioso”. Ciclicamente. Costantemente. Ripetuto. Come certe forme di silenzio. Come certe sale d’attesa dalle pareti immacolate. Come quella morsa dentro lo stomaco che piega il corpo. Come il modo in cui si spera che… Ma qui non c’è da sperare. Non è l’ansia del Dubbio.
A voi non sarà chiesto di non tornare nell’abbraccio di chi avete scelto di amare. Non sarete citati in giudizio. Non sarete ammantati di vergogna. E la libertà di una nuvola non vi apparirà cosa tanto strana. Avrete il diritto di vivere una e una sola, desiderata, agognata, vita.
“Poiché chi vive assai più di una vita/ deve subire assai più di una morte.”
La Ballata della Prigione di Reading è un monito. E’ un avvertimento. E’ una sentenza che, forse, ancora non è passata in giudicato.
Perché, forse, a ciascuno di noi è concesso di essere per se stesso imputato, testimone e giudice.
Questo componimento è una Responsabilità che vi viene chiesto di assumervi . E’ un errore che non dovrete permettere. E’ un martello che non dovrete battere. E’ la colpa di cui siete. Di cui siamo. Rei. E’. Quel bacio con cui avete pronunciato un addio. E’ quella lusinga spesa per accaparrare. E’. Quello che non siete stati in grado di spiegare sul bordo di un letto. E’ quella frase che, col senno di poi, vi siete pentiti di aver frivolamente sussurrato in un venerdì sera qualunque. Dopo le commedie. Dopo i fraintendimenti. Dopo il cinismo. Dopo aver indossato il costume di moderni dandies. Dopo esservi sentiti Oscar Wilde.
Dopo Oscar Wilde.
Questo. Oscar Wilde.