Qualche giorno fa, parlando di David Foster Wallace, a un certo punto una persona, con aria contrita, mi fa: “Ma perché si è ucciso?”. Me lo domanda come se io avessi in serbo per lui la verità sul suicidio di uno dei più importanti scrittori degli ultimi vent’anni. “Immagino perché stava molto male” è l’unica cosa che riesco a ribattere. Nella mia risposta forse c’è la verità, forse no. In realtà avrei dovuto rispondergli invitandolo alla lettura di Una cosa divertente che non farò mai più, il più comico, stralunato, angoscioso, farsesco reportage letterario moderno, la cronaca umoristica di una settimana di crociera ai Caraibi, commissionata a Wallace dalla rivista Harper’s, in cui il genio di Ithaca, attraverso l’osservazione della fenomenologia dell’industria delle crociere extra-lusso, arriva a toccare il cuore marcio dell’America. Non ho letto tutto di Wallace, ma ho letto abbastanza, e forse tra le cose che ha scritto in vita non c’è niente, più di questo, in cui dietro le parole compare l’uomo DFW, l’uomo in carne e ossa e pensieri, al di là degli artifici, oltre le finzioni e le simulazioni letterarie. Un uomo, o forse sarebbe meglio dire un ragazzo, incuriosito dalle cose, a tratti inerme, si direbbe sprovveduto, che prova a tastare con mano le contraddittorie beatitudini dell’uomo contemporaneo (“Ho sentito il profumo che ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato ‘Mister’ in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l’Electric Slide”). Dunque perché si è ucciso David Foster Wallace? Non c’è una risposta e non può esserci. C’è questo libro però, che ognuno dovrebbe leggere, per capire che forse a spararsi un colpo in testa, prima di lui, è stata l’intera civiltà capitalistica occidentale.
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COMMENTI (2)
Inviato il 29 agosto a 21:41
Secondo me invece la risposta è gnoseologico/epistemologica: sapeva tutto e aveva visto tutto. Era troppo intelligente, troppo sensibile e soprattutto troppo buono. Dice Marcel Proust che delle intelligenze veramente superiori alla fine quello che ti colpisce di più è la bontà, cosa che suona particolarente vera per DFW. Che, credo, sorriderebbe di veder additata la sua cronaca della crociera come de profundis dei mali del capitalismo
Inviato il 29 agosto a 18:18
Credo che la risposta sia medica. Soffriva di depressione clinica e le medicine, da cui aveva voluto provare a liberarsi, non funzionavano più. In molti lavori questo tema è affrontato (anche se in vita Wallace aeva sempre tenuto nascosta la sua malattia). A partire dal suo primo racconto "Il pianeta Trillifon in relazione alla cosa brutta" (contenuto nella raccolta "Questa è l'acqua"), al racconto "La persona depressa" (in "Brevi interviste con uomini schifosi") a una serie di personaggi che popolano Infinite Jest, il suo grande romanzo. E proprio in questo romanzo troviamo un personaggio, Kate Gompert, afflitta in modo cronico da questo male, che dopo un tentativo si suicidio cerca di spiegare il suo stato d'animo a un giovane e inesperto dottore. (è in inglese, non ho il teso completo in Italiano sotto mano): 'Listen,' she said. 'Have you ever felt sick? I mean nauseous, like you knew you were going to throw up?' The doctor made a gesture like Well sure. 'But that's just in your stomach,' Kate Gompert said. 'It's a horrible feeling but it's just in your stomach. That's why the term is "sick to your stomach." ' She was back to looking intently at her lower carpopedals. 'What I told Dr. Garton is OK but imagine if you felt that way all over, inside. All through you. Like every cell and every atom or brain-cell or whatever was so nauseous it wanted to throw up, but it couldn't, and you felt that way all the time, and you're sure, you're positive the feeling will never go away, you're going to spend the rest of your natural life feeling like this.'