Il “percorso nascita” per le future mamme è un viaggio a ostacoli
Il “percorso nascita” per le future mamme è un viaggio a ostacoli. Se si vuole essere seguite da un unico medico durante tutta la gravidanza, l’unica soluzione è affidarsi al privato e pagare di tasca propria. Se si vuole l’epidurale, sarebbe meglio “scegliersi” l’orario giusto per partorire, perché non tutte le strutture garantiscono il parto in analgesia h24. E per il neonato, la possibilità di fare uno screening neonatale metabolico allargato dipende dalla Regione in cui si nasce. “Percorso nascita” è l’indagine civica presentata oggi a Roma da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato.
La ricerca, con un focus sugli screening neonatali, è stata fatta su 51 strutture nazionali differenti per numero di parti, da quelle con meno di 500 a quelle con più di 2500. Le differenze ci sono: in generale, i centri più grandi offrono tutele maggiori ma ci sono anche eccezioni, c’è il tema generale della piano di riordino dei punti nascita – con la razionalizzazione delle strutture che fanno meno di mille parti l’anno – e ci sono le differenze regionali, particolarmente evidenti per gli screening neonatali. Basti pensare che per lo screening neonatale allargato ogni Regione fa storia a sé. C’è l’eterno tema dei tempi di attesa, che pesa sulla scelta di ricorrere al privato per tutta una serie di visite specialistici ed esami diagnostici e per la stessa scelta del medico.
Spiega Giulia Mannella, responsabile del progetto: “La scelta del medico passa prevalentemente dall’intramoenia e solo le strutture più grandi consentono di far scegliere il medico alla gestante. In quelle medio-piccole, non è possibile scegliere il medico della prima visita. E invece le donne preferiscono farsi seguire per tutta la gestazione da un’unica figura di riferimento o da uno stesso team”.
Sulla diffusione dell’epidurale, “le strutture monitorate nel 72% dei casi effettuano il parto in analgesia e la percentuale cresce in rapporto alla grandezza della struttura”. Il problema diventa quello di quando il servizio viene erogato: è garantito h24 solo nelle strutture che effettuano più di 2500 parti annui, mentre l’h24 viene effettuato solo nel 54% dei casi per le strutture da mille a 2499 parti annui e scende al 20% nei punti nascita che fanno da 500 e 799 parti annui. Altro dato che segnala disparità è quello del mediatore culturale per le future mamme immigrate: “Solo il 67% delle strutture grandi – spiega Mannella – garantisce la presenza di un mediatore culturale per tutte le tappe del percorso nascita”.
Se si prende in considerazione la scelta del medico, e si vuole un professionista che segua il pre e post nascita, questo è di fatto impossibile nel canale pubblico. Bisogna pagare di tasca propria, scegliendo l’intramoenia o il privato puro. “I dati del monitoraggio – evidenzia lo studio – indicano una grande variabilità tra i costi dell’intramoenia, e risulta azzardato, se non proprio impossibile, avanzare delle stime sui costi medi. I costi di una visita ginecologica/ostetrica, per esempio, variano anche di 100 euro e più da una struttura ad un’altra e vi sono variazioni all’interno di una stessa struttura, dove per la medesima prestazione il prezzo oscilla tra le 70 alle 150 euro”. Nel percorso garantito dal Sistema Sanitario Nazionale è difficile prenotare una prima visita con un medico di propria scelta: è possibile solo nel 33% dei casi nei punti nascita più grandi (con più di 2500 parti annui).
Se si guarda alla possibilità di partorire con epidurale, emerge un dato sopra gli altri: “scegli l’ora giusta per partorire”. Se infatti il parto in analgesia viene erogato nel 72% dei punti nascita monitorati, solo le strutture con più di 2500 parti annui garantiscono il servizio di anestesia epidurale per il parto in tutte le 24 ore. Nelle strutture più piccole, fanalino di coda, questo servizio viene garantito nelle 24 ore solo in un caso su 5.
Focus sull’allattamento al seno: i dati riportati dal Piano Sanitario Nazionale 2010–2013 dicono che al momento della dimissione dal parto il 90% delle mamme allatta al seno ma che questa percentuale scende con il passare del tempo tanto che, dopo 6 mesi dalla nascita, allatta solo il 52% delle mamme e l’allattamento esclusivo scende al 37%. Ci sono carenze nell’assistenza alle mamme straniere: il numero dei bimbi che nasce da migranti è in aumento ma solo i punti nascita grandi hanno, e solo in un caso su tre, un mediatore culturale.
Un focus della ricerca si è poi concentrato sugli screening neonatali, sui quali ci sono buchi evidenti e differenze regionali impressionanti. Si tratta di programmi di medicina preventiva secondaria, fatti nei primi giorni di vita, che permettono la diagnosi precoce di diverse patologie. Ci sono gli screening audiologici (per i problemi dell’udito) e la prova del riflesso rosso (che permette di riconoscere patologie della vista). Ebbene: più della metà dei punti nascita (64%) non esegue il test del riflesso rosso. Nessuna tra le strutture monitorate che gestisce un numero superiore di 2500 parti annui eroga questo tipo di screening. Il test non viene eseguito dal 77% delle grandi strutture (quelle con parti annui compresi tra i 1000 ed i 2499) e dal 50% dei due gruppi di strutture con parti annui compresi tra i 500 e 799 e 800 e 999. I centri più piccoli, invece, dichiarano una certa sensibilità al tema: il 60% di questi centri, infatti, risponde positivamente.
Lo screening audiologico è eseguito, invece, da una percentuale maggiore di punti nascita. Il 74% infatti risponde positivamente. In questo caso tutte le strutture con parti annui superiori a 2500 effettuano il test, il 73% delle strutture grandi (tra 1000 e 2499) esegue questo tipo di screening. Le strutture piccole (tra 500 e 799 e 800 e 999) eseguono il test raggiungendo rispettivamente valori pari al 70% e all’83%. Infine, anche in più della metà (60%) delle strutture più piccole, che gestiscono fino a 499 parti annui, il test per la sordità viene erogato.
Diverso il caso degli screening metabolici neonatali, che permettono di identificare malattie metaboliche ereditarie. I dati dell’indagine evidenziano che il 96% delle strutture monitorate effettuano gli screening obbligatori per legge (fenilchetonuria, fibrosi cistica, ipotiroidismo congenito). Però con lo stesso prelievo si potrebbero identificare oltre 60 malattie metaboliche: si tratta di fare, in questo caso, uno screening metabolico allargato. Ma non c’è una legge nazionale perché questo venga allargato a tutto il territorio italiano, col risultato che lo screening metabolico allargato rimane frutto di programmi regionali o di iniziative e progetti pilota di singoli ospedali.
Accade così che tra le Regioni osservate attraverso la rilevazione civica la Toscana, la Liguria, l’Umbria, la Sardegna e la provincia autonoma di Trento abbiano programmi di screening regionali. Il Lazio, pur avendo un programma di screening regionale, non ha una totale copertura. Fra le strutture monitorate in Lombardia e in Sicilia si esegue lo screening allargato in alcuni centri di Milano, di Pavia e di Catania e Palermo; nelle altre strutture monitorate in Abruzzo, Campania, Calabria, Campania e Puglia non risulta l’erogazione dello screening metabolico allargato. In percentuale, sulle 51 strutture analizzate, lo screening neonatale metabolico allargato viene fatto solo nel 44% dei centri, mentre quasi la metà (48%) non lo fa e un 8% non risponde.
Rispetto al numero di parti annui, emerge però che questo tipo di screening viene fatto in percentuale maggiore nelle strutture più piccole: lo screening allargato viene fatto nel 33% dei centri con numero di parti annui superiore a 2500; nel 42% dei centri con parti annui tra i 1000 ed i 2499; nel 50% dei centri con parti annui tra gli 800 ed i 999, e nel 60% in quelli con parti annui tra i 500 ed i 799. I centri più piccoli eseguono lo screening nel 40% dei casi ma si segnala un alto numero di non risposte (20%.). Il servizio è erogato gratuitamente, e solo il 5% delle strutture richiede un pagamento (si tratta di strutture del nord con parti annui tra 1000 e 2499).
“Con gli screening neonatali è oggi possibile individuare la presenza di malattie metaboliche rare sin dai primi giorni di vita e intervenire con terapie dietetiche o farmacologiche efficaci prima che queste causino esiti devastanti – ha detto, a margine della presentazione, Riccardo Palmisano, amministratore delegato della società di biotecnologie farmaceutiche Genzyme (che ha dato un sostegno non condizionato alla ricerca) e vice presidente delegato di Assobiotec – L’art 5 del decreto Balduzzi, laddove dispone l’aggiornamento dei LEA con riferimento alle malattie rare, offre una straordinaria opportunità: inserire gli screening neonatali nei Livelli essenziali di assistenza – prosegue Palmisano – Portare a livello nazionale il coordinamento di questa importante attività che risulta ancora diffusa a macchia di leopardo, sarebbe estremamente utile per rendere equo l’accesso ad un importante servizio che per alcune malattie fa la differenza tra una vita normale e una vita gravemente invalidata e drammaticamente breve. Perché in futuro nascere nella regione sbagliata non possa mai più essere fatale”.
Sostiene Giuseppe Scaramuzza, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato: “La nostra proposta è quella di rendere obbligatoria l’esecuzione del test audiologico, del riflesso rosso e dello screening metabolico allargato su tutto il territorio nazionale ai neonati, prima delle dimissioni” dall’ospedale.
Il tutto, nell’ottica di linee di indirizzo nazionali che garantiscano standard di erogazione del servizio comuni a tutte le regioni e uniformità nelle patologie metaboliche oggetto di screening. Nella prospettiva dunque di un accesso alla salute che sia uguale per tutti i cittadini e non frazionato e disomogeneo – come emerge da tante indagini, non solo sul parto – a seconda della Regione in cui si vive.