Pericle precursore della società liberale

Creato il 24 novembre 2013 da Ilbocconianoliberale @ilbocclib

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo “classicista” di Giuseppe Lillo:

Agli inizi dell’Ottocento, Benjamin Constant, un intellettuale francese impregnato di cultura classica, che aveva avuto la fortuna di studiare in Inghilterra – all’epoca già patria del liberalismo in seguito alla Glorious Revolution del 1688 – scrisse un accattivante pamphlet intitolato “Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni“. In esso, Constant spiegava ai suoi contemporanei che fosse improprio oltre che anacronistico voler trarre insegnamenti di libertà dagli antichi, perché diverso era il concetto di libertà: si trattava di una libertà che iniziava e finiva nell’ambito della polis, completamente priva delle connotazioni individualistiche moderne, che verranno rivendicate da tutti i filosofi liberali a partire da John Locke. Inutile dire che Constant aveva ragione da vendere: ogni studioso che si rispetti sa che il cittadino ateniese non era libero come potrebbe esserlo un cittadino inglese.
Constant, infatti, auspicava un modello di società che facesse riferimento all’Inghilterra liberale e non alla Roma repubblicana a cui invece si ispirava la tradizione francese, e che può spiegare la volontà di accentramento del potere da parte di Napoleone. Nonostante ciò, era un ammiratore della civiltà greco-romana, ravvisandovi in essa i prodromi della società occidentale, e quindi della moderna società liberale. Per averne una prova, è sufficiente prendere in mano uno dei testi più celebri del mondo classico, ovvero “Il discorso di Pericle”.

A chiunque sia capitato di leggere il celebre “Discorso di Pericle” scritto da Tucidide, non può non averne apprezzato la modernità e l’estrema attualità degli argomenti: la libertà è una delle parole più ricorrenti nel suo discorso, insieme ad “areté”, virtù. Ebbene, proprio la libertà e la virtù costituiscono i due pilastri grazie ai quali, secondo Pericle, la società ateniese ha costruito la propria superiorità spirituale e militare. L’Atene di quei tempi era certamente un’Atene ben diversa da quella che conosciamo oggi: era all’acme della sua grandezza, un piccolo microcosmo in cui la libertà – almeno nell’accezione che davano gli antichi a questa parola – regnava sovrana; libertà che Pericle stesso celebra nel suo discorso, riportato dallo storico Tucidide.
Veniamo ai passi in cui Pericle descrive il modello di società esistente ad Atene: “Noi svolgiamo la nostra vita di cittadini liberamente, sia nei rapporti con lo Stato sia per ciò che riguarda i sospetti reciproci nelle attività di tutti i giorni“. Poi ancora “E quanto ai sistemi educativi, mentre loro (gli Spartani) subito fin da fanciulli, con esercizi faticosi cercano di formare il coraggio, noi, anche se viviamo liberi da costrizioni, non meno coraggiosamente affrontiamo pericoli eguali“. E poi di nuovo: “siamo i soli a beneficare altri senza paura, non tanto per un calcolo dell’utilità che ne deriva quanto per la fiducia che nasce dalla libertà“.
Pericle esalta il “vivere liberamente”, che costituiva la principale caratteristica e una grande virtù della società ateniese.
E’ evidente l’intenzione di celebrare non già la superiorità di una città-stato (Atene) nei confronti di un’altra (Sparta), quanto la superiorità di un modello – quello democratico – su un altro modello – quello autoritario/coercitivo. Il “vivere liberamente” versus il “vivere coercitivamente”. Sparta era una società – almeno all’apparenza – egualitaria (sebbene l’egualitarismo spartano riguardasse solo il ceto degli spartiati) in cui la vita era rigidamente scandita dall’autorità, in cui la dimensione individuale era annullata all’interno della dimensione collettiva (un po’ come la Corea del Nord di oggi); Atene, al contrario, era divisa in “classi sociali” fortemente differenziate tra di loro ma anche al loro interno. I cittadini godevano di maggiori libertà e di maggiore autonomia, sebbene queste libertà – come ci ricorda Constant – fossero esercitabili solo nella vita pubblica.

Un altro tema che viene richiamato dal discorso di Pericle è quello della virtù, all’epoca intesa principalmente come superiorità militare in quanto l’unica che potrebbe essere assimilata, in chiave moderna, alla nostra meritocrazia. A tal proposito, vi è un passo degno di nota, in cui Pericle afferma “quanto alla considerazione di cui si gode, ciascuno è preferito per le cariche pubbliche a seconda del campo nel quale si distingue, e non per la classe da cui proviene più che per il merito“. Più che uno statista di epoca classica sembrerebbe sentir parlare un filosofo illuminista del Settecento, il quale al privilegio di classe avrebbe anteposto le competenze e le capacità dell’individuo, anticipando addirittura il tema della mobilità sociale, benché questo concetto non si adatti alla società greca in generale. In un altro celebre passo, Pericle afferma “gli stati nei quali sono stabiliti i maggiori premi per il valore sono anche quelli dove vivono i migliori cittadini“. Non potrebbe essere questa la frase di un qualsiasi economista odierno? La frase di Pericle potremmo leggerla nel seguente modo “solo gli stati nei quali è più premiato il merito sono in grado di attrarre le risorse umane più competenti e istruite”.
Vi sono altri temi – che noi oggi definiremmo “di retrogusto liberale”- che sono affrontati nel discorso dell’oratore ateniese: rispettivamente l’importanza dello stato di diritto in cui il rispetto della legge è condizione necessaria per il vivere democratico (“nella vita pubblica non ci comportiamo in modo illegale perché diamo ascolto a coloro che di volta in volta sono in carica e alle leggi“) e la libera circolazione delle persone (“presentiamo la città aperta a tutti, e non succede mai che con le espulsioni di stranieri noi impediamo a qualcuno di conoscere o di vedere qualche cosa, da cui un nemico potrebbe trarre vantaggio vedendola, se non fosse nascosta“).

Parrebbe quindi che la civiltà greca contenesse già dentro di sé tutti gli ingredienti che, quasi due millenni dopo, daranno vita alla società liberale moderna. Quegli stessi valori su cui, una civiltà in crisi come quella occidentale – e soprattutto italiana – dovrebbe far leva, senza rimpianti per i tempi che furono, ma con il preciso intento di “riesumarli” per costruire un futuro di libertà, in cui il merito venga premiato; in cui la competizione venga vista non come uno strumento di alienazione degli individui più deboli, bensì come il motore di una società moderna e globalizzata, che innesca gli ingranaggi della mobilità sociale, garantendo a tutti – ma soprattutto alle classi più deboli – di scalare i gradini sociali.

Giuseppe Lillo


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