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Petal Dance (ペタルダンス). Regia, sceneggiatura e montaggio: Ishikawa Hiroshi. Fotografia: Nagano Yōichi. Musiche: Kikuchi Nobuyuki. Scenografie: Tsuge Machi. Interpreti: Miyazaki Aoi, Andō Sakura, Kutsuna Shiori, Fukiishi Kazue, Andō Masanobu, Kazama Shunsuke. Durata: 90’ Uscita nelle sale giapponesi: 20 aprile 2013.
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Jinko (Miyazaki Aoi) e il suo ragazzo dialogano scambiandosi poche e concise parole in mezzo a un campo brullo e ventoso. Altrove Motoko (Andō Sakura), in un altrettanto desolato paesaggio, chiede in prestito all’ex marito la sua vecchia auto. Le due donne hanno intenzione di recarsi al nord per far visita all’amica Miki (Fukiishi Kazue), ricoverata in ospedale dopo aver tentato il suicidio gettandosi in mare. Alle due si unirà Haraki (Kutsuna Shiori), giovane donna rimasta improvvisamente senza lavoro, che Jinko salverà da quello che quest’ultima crede essere un tentativo di suicidio. Insieme raggiungeranno Miki e con lei si recheranno sul luogo che fu teatro del suo gesto disperato.
Ishikawa Hiroshi, miglior regia al New Montreal Film Festival nel 2005 con Sukida (I love you), dirige magistralmente le quattro protagoniste femminili di questa delicata pellicola, scandita da silenzi eloquenti e poetici paesaggi. Tralicci elettrici si stagliano contro un cielo plumbeo: la fotografia di Nagano Yōichi predilige gli azzurri, i grigi, le sfumature del carta da zucchero, i colori del cielo e del mare, che insieme al vento sono gli altri protagonisti del film. Una sceneggiatura solida e la recitazione convincente delle quattro attrici fanno sì che i silenzi siano sempre presenti al momento giusto, complemento interiore di dialoghi mai banali.
Jinko si getta su Haraki alla stazione pensando che quest’ultima stia per compiere il grande balzo, ma neanche Haraki sembra essere cosciente di quel che forse stava per fare: il regista sembra volerci dire che è giunto il tempo di guardarci dentro, e di farlo reciprocamente. È uno sguardo sull’inconscio altrui quello di Jinko che salva (ma non ci è dato percepirlo con certezza) un’inconsapevole Haraki dalla morte; da quella stessa morte verso la quale si è diretta Miki, tuffandosi in mare. Nella psicanalisi freudiana l’acqua e il mare sono i simboli dell’inconscio, di quello stato emotivo interno alla persona che ha paura o si sente attratta dalle proprie emozioni latenti: il mare può dunque rappresentare il desiderio di contenimento o di espressione di tali emozioni. Non a caso nel loro viaggio verso nord Jinko, Motoko e Haraki fanno sosta davanti al mare e quando ripartono si interrogano sulle motivazioni che hanno spinto Miki a tentare il suicidio, se abbia voluto veramente togliersi la vita: lo sguardo sull’inconscio fa dunque sorgere interrogativi e una curiosità per i moti dell’animo che non è mai morbosa.
Arrivate al nord è il bianco della neve e degli interni dell’ospedale a prevalere, ma non è mai un bianco asettico: ancora una volta, un colore freddo, o meglio, un non colore risulta avvolgente. Anche Miki si interroga e interroga le amiche sul perché siano venute a farle visita. Sarà stata la mossa giusta da parte delle ragazze? Probabilmente sì dato che Miki chiede loro di accompagnarla nel luogo da dove si è gettata: vuole capire il perché della sua azione ma ha bisogno di tutte loro poiché non può ritornarvi da sola. L’unione di più fragilità crea comunque forza, la forza dell’autoanalisi, che per alcuni può rappresentare la salvezza. [Ramona Ponzini]
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