1. Diceva Marx, la Storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa, tanto che dai “buoi lucani” con i quali Pirro, alleato appunto ai lucani e ad altre popolazioni italiche, sconfisse Roma, dovendo conseguire, una vittoria di Pirro (chiamandosi così per sua sventura), si è arrivati al parco buoi attuale.
E poco importa che i lucani siano giunti in Italia, più o meno, nel V secolo a.c., poiché pare che, nonostante una storia millenaria, la loro identità, come qualcuno ha scritto improvvidamente sul QuotidianodellaBasilicata, potrebbe venire “definitivamente cancellata” dalla creazione di una macroregione all’interno di un “postmoderno Regno delle due Sicilie”. Se, davvero, l’identità lucana dipende da confini amministrativi artificiali, creati apposta in una fase storica particolare col proposito di contentare il Partito Comunista Italiano, escluso dalla gestione del Governo a causa di una Conventio ad excludendum di matrice statunitense, vuol dire che questa lucanità non è poi un granché. Fortunatamente, non è così perché l’identità di un popolo scorre nel sangue e mette radici nella terra, emotivamente, culturalmente, ideologicamente, a prescindere da quello che può stabilire una legge dello Stato centrale.
Tutt’al più, a scomparire sarebbe il fantomatico Partito-Regione al quale verrebbe a mancare la cassaforte pubblica ed il terreno da sotto ai piedi. I lucani ci guadagnerebbero? Non lo so, ma considerate le disapprovazioni pressoché quotidiane ad esso rivolte dal QdB, la gente, in qualche modo, ne verrebbe a beneficiare. Eppure, si inorridisce all’idea dell’accorpamento e si ribatte che “l’identità lucana sarebbe definitivamente cancellata”. Delle due l’una, o sono sballate queste critiche o si è sballato chi le proferisce. Qualcosa o qualcuno sta comunque fumando, decidete voi se trattasi di oggetto o di soggetto. Tuttavia, ad essere definitivamente smarrito non sarebbe lo spirito e l’ethos comune, ma una certa struttura di potere e di gestione del territorio che verrebbe sostituita da un’altra (migliore o peggiore, non si può prevedere). Ad ogni modo, tutto questo l’opposizione su carta straccia di sua maestà non lo sa (oppure finge di non saperlo) ed ecco dove va a finire la sua lucanità. Potessimo decidere noi riproporremmo la suddivisione augustea: XI regioni con un bel risparmio di costi, nel nome di un’epoca gloriosa. Un ritorno alla romanizzazione dei Cesari contro l’immoralità romanesca della “Casta” più cialtrona che ladrona.
2. Non ho idea delle letture del Presidente De Filippo e non la farei nemmeno tanto lunga con dicotomie che non spiegano nulla in questo momento storico e che servono, al massimo, ad intorbidare maggiormente le acque.
Il dilemma di un Presidente eroe o traditore, posto in tali termini superficiali, è facilmente rovesciabile in faccia a quei commentatori o analisti che pretendono di aver chiarito tutto perché hanno cancellato ogni segno di ragionevolezza: per esempio, è più traditore degli interessi generali chi frena la produzione petrolifera condannando una collettività alla povertà e all’inedia o chi si erge a strenuo difensore dell’ambiente, bloccando prospezioni e produzione, in assenza di un vero pericolo ecologico, al solo scopo di parlare alla pancia degli elettori, piuttosto che alla loro testa, per tornaconto personale? La domanda è retorica mentre le conseguenze di una scelta sbagliata, aggravate dal momento di crisi sistemica nazionale, non lo sono affatto e potrebbero persino diventare tragiche.
Concordo con quanto ultimamente detto dallo scrittore Marcello Veneziani il quale, dando un calcio ai moralisti di ogni risma e appartenenza, ha scritto: “Non cerchiamo politici missionari che si sacrificano per la collettività e considerano la politica come servizio. Non esistono e se si dichiarano così, vuol dire che sono ipocriti. Ci basterebbero politici che fanno coincidere il loro interesse personale con l’interesse generale, che fanno politica per ambizione personale ma per la stessa ragione tengono a lasciar traccia positiva di sé, vogliono che resti il loro buon nome, più che arricchirsi. Pretendiamo troppo se cerchiamo grand’uomini, ci basterebbero politici che sanno riconoscere i migliori: è troppo esigere che si circondino non di servi, peggiori di loro, ma di capaci, migliori di loro; e che li sfruttino perfino, a vantaggio proprio e della comunità? Ecco il curriculum realista del buon politico”. Con questo passaggio mandiamo a gambe all’aria qualsiasi dialettica eroe-traditore, almeno quella utilizzata impropriamente in questo frangente, perché bastano uomini normali, normalmente figli di puttana, con un minimo d’intelligenza e di furbizia, per ridare qualche speranza al nostro pauvre pays, in procinto di trasformarsi in un pays pauvre. Di più, possiamo anche dichiarare che il tradimento o l’eroismo, nella Storia umana, non sono fenomeni psicologici ma dipendono da circostanze evenemenziali che sfuggono alla comprensione piena degli stessi soggetti agenti i quali purtuttavia restano protagonisti delle loro azioni: “Il tradimento è il risultato di un processo da ritenersi in qualche modo oggettivo. Ovviamente, l’oggettività non è tale per tutti; solitamente, ciò che per “uno” è tradimento per un “altro” non lo è. Perfino dopo intere epoche, in sede di valutazione storica, spesso si hanno opinioni differenti sui tradimenti di grande portata…Che cosa significa allora l’oggettività del processo denominato tradimento? Semplicemente che non dipende da una particolare disposizione d’animo di un individuo o di un gruppo di individui. E’ senza dubbio necessario che occorrano determinate condizioni, che il processo abbia assunto una data direzione in base allo scontro tra più individui o fazioni, nel cui ambito sono precipitate specifiche configurazioni dei reciproci rapporti di forza. Il tradimento può anche non realizzarsi perché si è verificato un errore di valutazione di queste configurazioni e di misurazione dei rapporti di forza in oggetto. Tuttavia, devono poter essere individuati in modo realistico, in base ad un non immaginario calcolo, i possibili sbocchi del processo detto di tradimento. Tuttavia, proprio il fatto che io sia costretto a parlare di individuazione delle configurazioni, di calcolo realistico delle probabilità, fa capire che non esiste realizzazione di alcun processo se non vi sono i portatori soggettivi dello stesso, i quali devono anche possedere quindi peculiari caratteristiche: quelle che li fa appunto definire traditori. Lamentarsi di questa definizione, o vedervi una semplice indignazione moralistica, significa veramente essere fuori del mondo reale, credere che dati ‘fatti’ accadano per virtù propria. Capisco che ciò è preferito dai traditori, o da coloro che li scusano, perché ci si sente così del tutto non responsabili di autentici delitti.” (cit. G. La Grassa)
Messa l’interpretazione in questi termini è facile capire che per noi il vero tradimento è quello di chi fa passare per eroismo un mutamento d’idee improvviso come quello di cui stiamo discutendo.
Sono convinto che qui nessuno farà la fine di Mattei, anche se verranno collezionate innumerevoli figure barbine. Il grande manager dell’Eni non fu ammazzato perché contrario ai pozzi (il marchigiano avrebbe riso in faccia a chi ora compone catene umane a salvaguardia del mondo perduto e dell’incontaminatezza agreste) ma poiché cercò, con la sua Eni, di fare le scarpe alle Sette Sorelle, impendendo che queste si appropriassero delle risorse energetiche nostrane, scalzandole per giunta negli affari in giro per il mondo. Chi lo volle morto non poteva permettere che un uomo, e gli apparati nazionali agenti dietro di lui, andassero impunemente oltre le logiche di Yalta facendo investimenti in URSS e regalando a Stati come l’Iran intese win-win che nessuna compagnia d’oltreatlantico, con la sua mentalità colonizzatrice, avrebbe mai concesso. Mattei era un cattivo esempio di indipendenza nazionale e di autonomia decisionale, in campo politico, industriale e commerciale, da stroncare subitamente. Mattei non era un buonista e nemmeno un moralista, pagava tangenti, corrompeva uomini, si serviva di fondi neri, non si curava dei problemi di testa dei declinisti ma faceva tutto ciò per salvaguardare i superiori interessi dell’Italia e del suo benessere con una buona dose di vanità personale. Uno come Mattei, nell’Italia odierna, tutta frottole e perbenismo, servilismo e ipocrisia, sarebbe finito sotto processo e magari anche al gabbio. Ed, invece, ci servirebbero adesso centinaia di Mattei in carne, ossa ed organi di potenza collegati per ridare un futuro al Belpaese. Attualmente però, nonostante le invocazioni e le evocazioni, in giro si vedono troppi matti e pochi Mattei. Questa è tutta la differenza.