«Mio dio, che cosa ho fatto? / La mia ragione, dov’è finita? / Un demone mi ha colpito: sono pazza! / Che sciagura, ahimè! / Coprimi di nuovo il volto, mia nutrice: / provo vergogna per quel che ho detto. / Coprimi il volto: lacrime mi scendono dagli occhi, / non oso alzare lo sguardo intorno a me. / La follia è una sventura, / ma riacquistare la ragione è sofferenza. / Meglio morire senza saper nulla». Espressione di un profondo tormento interiore che troverà la sua redenzione nella morte, le parole pronunciate da Fedra nell’Ippolito di Euripide si caratterizzano come una faccia della medaglia che, dall’altro lato, offre la rivisitazione del mito operata da Sarah Kane, nell’ambito di un progetto di riscritture mitologiche promosso dal Gate Theatre di Londra.
Celebre drammaturga inglese, la giovane autrice si impone sulla scena per lo scandalo e per il carattere fortemente polemico che traspare dalle sue opere: fra queste si colloca, nel 1996, Phaedra’s Love, reinterpretazione in chiave pop di una fra le vicende più tragiche dell’antichità. Tuttavia, come pocanzi anticipato, la Fedra raccontata dalla Kane si discosta radicalmente dal modello euripideo e, in particolare, dalla Fedra di Seneca, alla quale si ispira per la definizione dei personaggi. A questo punto, è lecito domandarsi chi si celi dietro quel ‘love’ del titolo: come il mito insegna, si tratta di Ippolito, giovane figlio di Teseo che, punito da Afrodite per il fatto che le preferisce Artemide, diviene oggetto delle attenzioni di Fedra, sua matrigna, che s’innamora perdutamente di lui e decide di far fronte alla propria passione con il suicidio. Come potete ben immaginare, la vicenda si snoda fra colpa, confessioni, segreti non svelati, bugie e morte, la morte dell’amante e dell’amato.
Nel dramma inscenato dalla Kane, però, ben poco resta della grandezza tragica di Fedra che, ridotta allo stato di oggetto sessuale di Ippolito, mette fine alla propria vita in poche, insignificanti battute. E, probabilmente, è proprio questo il motivo per cui, a catturare la totale attenzione del lettore, è il personaggio di Ippolito: un giovane sfatto, grasso, senza attenzione alcuna per l’igiene, che trascorre il suo tempo mangiando patatine fritte e seguendo programmi televisivi. Un re fuori del comune, lo si potrebbe definire, diviso fra sesso inappagante, violenza e blasfemia. Sconvolgente, inconcepibile, anche agli occhi di uno spettatore (o lettore) moderno, una simile immagine, soprattutto se si considera che l’opera della Kane vuole essere una serrata critica alla famiglia reale inglese. Nel finale, al quale approdo senza rivelare le insidie di una trama fitta, a tratti sgradevole, ma profondamente realistica, un’espressione che suona come una sentenza: «Ce ne volevano di più di momenti così». Di quali momenti parli Ippolito non ci è dato saperlo, ma è possibile che in una vita dominata dal torpore fisico ed emotivo, fissata entro rigidi protocolli e priva d’amore, l’unica via perché un re possa provare emozione, quando il riscatto non sopraggiunge nemmeno attraverso la fede in Dio, è la morte. Ecco che, paradossalmente, torniamo al mito, che nella morte dell’eroe trova il suo scioglimento, la sua soluzione, la sua lezione per i posteri.
Alba Quarato
Sarah Kane, Tutto il teatro, Einaudi Editore, € 15.oo