Si chiamerà Pheme e metterà fine ai fake, alle bufale su Twitter. E’ un progetto di ricerca creato in Inghilterra dal dipartimento di informatica dell’Università di Sheffield, grazie a fondi messi a disposizione dall’Unione Europea.
Cinque le Università che sono state scelte per sviluppare il progetto nella sua globalità (Sheffield, Warvick, King’s College di Londra, Saarland in Germania e Modul di Vienna), progetto che si ispira agli studi di Rob Procter dell’Università di Warvick.
Il professore inglese ebbe l’idea iniziale dopo aver esaminato i tweet che seguirono la rivolta causata nel Regno Unito dall’uccisione di un giovane di colore da parte della polizia.
Procter scoprì che molti di quei messaggi erano falsi. D’altronde non ci vuole una laurea per sapere che anche il semplice “passa parola” deformi l’informazione, sino a modificarne radicalmente il nucleo iniziale. Figuriamoci se questo non possa avvenire anche con quel moderno passaparola tecnologico che è Twitter!
Non si tratta necessariamente di falsificazioni volontarie: sovente sono errori di battitura che generano catene di fraintendimenti, punti di domanda non digitati che si trasformano in punti esclamativi, richieste di informazioni che mutano da passaggio a passaggio,sino a diventare affermazioni.
Poi, naturalmente, esiste la categoria delle informazioni ingannevoli, razionalmente trasmesse per generare questa o quella reazione (sembra che durante i disordini di Kiev, molti di questi ” fake” studiati a tavolino abbiano generato precise “risposte” da parte della folla indignata. Chiaramente “risposte” pilotate).
Uno strumento come quello allo studio, aiuterebbe anche le autorità ed i Media a verificare l’autenticità delle fonti e dei dati pubblicati.
Il programma “smaschera fake” dovrebbe girare innanzitutto su twitter e classificherà i tweet in linea in quattro specifiche categorie: speculazione, controversia, informazione sbagliata e disinformazione ed in altrettante sottocategorie in base alla loro autorevolezza: esperti, giornalisti, testimoni oculari, cittadini comuni.
Il programma, una volta attivato, esaminerà il retroterra del tweet, la fonte, i post pubblicati nel passato al fine di individuare gli account Twitter creati con l’unico scopo di diffondere false informazioni. Incrociati i dati, “Pheme” comunicherà il risultato ad un programma visuale (dashboard).
Resta l’atroce dubbio: un tale programma, mal gestito a livello politico, potrebbe essere usato per convincere le masse twittanti che la verità è bugia e che la bugia è verità.
C’è odore di “psicopolizia“.