Magazine Diario personale

Phnom Penh

Da Nataliapazzaglia

Phnom PenhPhnom Penh, Museo Tuol Seng
Parlare di Phnom Penh è difficile: ci si ritrova con un sapore amaro in bocca, risucchiati da una memoria inevitabile, sommersi da un futuro di sviluppo insaziabile e incontrollato. Suv, bmw, ristoranti radical chic e negozi bio-etici , strade larghe e centri commerciali, palazzi reali e mercati, Lucky supermarket e Happy Herb pizza. Disorientati, a domandarsi in quale parte sperduta di mondo ci si ritrovi.Ci pensano il museo Tuol Seng e il campo della morte di Choeng Ek a farci far mente locale. 17 aprile 1975: i Kmher rossi entrano a Phnom Penh: tre anni di potere, più di due milioni di morti.“Sono legalmente responsabile della morte di oltre mille persone e prego per le loro anime”. Si legge nella testimonianza di un gerarca della Kampuchea Democratica.Memoria e rinascita, brividi di freddo, campi abbandonati ad anime senza pace…Bere il calice amaro del ricordo, mandandolo giù con Angor Beer, ascoltando distratti una canzone dei Coldplay. A guardare sullo sfondo una città senza capirla, senza individuarne i confini di senso, domandandosi se si sia inginocchiata al capitalismo o se nasconda la sua vera natura ricacciandola in strette viuzze, annegandola in fogne a cielo aperto, dimenticandola tra vestiti alla moda e mixed fruit shakes.Domani si parte: destinazione Siem Reap, per ammirare i sorrisi enigmatici delle statue dei templi di Angkor.

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