Via Bangkog arrivo a Phnom Penh da Yangon di sera. E' fine febbraio, la stagione delle piogge sta per iniziare, il caldo umido gonfia l'aria, una coltre densa e soffocante che spezza le gambe e rallenta l'adrenalina per la nuova città da scoprire, in realtà vorrei accamparmi sotto la doccia e non muovermi più.
Dopo un mese di Myanmar, grandi spazi e poca gente, la quiete delle campagne, la serena operosità dei villaggi, il silenzio dei monasteri, l'austera parsimonia di luci, rumori e comportamenti persino nella capitale Yangon, Phnom Penh, alla prima passeggiata esplorativa notturna sembra una città tentacolare di quasi 2 milioni di abitanti, una babele modernissima, figlia d'oriente e d'occidente, tutta neon, motorini, tuc tuc, macchine, biciclette, clacson, musica a manetta, locali gremiti, piatti per i turisti stracolmi di vivande. Intuibili da subito certe contraddizioni, povertà e ricchezza, fascino e caos. Mi colpiscono in particolare la giovanissima età dei locali, scollature e minigonne ardite (per la gioia e la vergogna dei pedofili e dei consumatori stranieri di sesso), ragazzi che, banchetto appeso al collo, non vendono sigarette o souvenir, ma libri, merce preziosa perché negata in un passato non ancora remoto.
Sono solo le prime superficiali impressioni, ma documentandomi in seguito come faccio spesso nei viaggi per non farmi condizionare "a priori", scoprirò che sono valide. Pare che in Cambogia tutto sia in vendita: templi antichi, statue angkoriane, parchi nazionali, persino siti del genocidio e con tragica consequenzialità anche le persone. Leggo che nel 2005, durante la visita del paese, il direttore della Banca Mondiale, richiesto di riassumere il paese con tre parole abbia detto davanti all'élite del governo: "corruzione, corruzione, corruzione".
La tradizionalmente onesta e scrupolosa popolazione locale deve quotidianamente confrontarsi col malcostume generale pagando medici ed infermieri perché facciano con un pò di attenzione il loro lavoro che dovrebbe essere gratuito, professori che promuovono non certo in base al rendimento scolastico, impiegatucci della pubblica amministrazione solerti solo dopo la riscossione. Non è certo una giustificazione, ma un tentativo di comprendere, l'indigenza è grande e c'è chi rimpingua i magri bilanci arrangiandosi indegnamente.
Bisognerà attendere il mattino per incontrare in una luminosità lunare la maestosità del mitico Mékong che dal lontano Tibet percorre instancabile 4800 chilometri di cui 500 in Cambogia (in certi punti largo fino a 5 chilometri) prima di terminare il suo percorso nel mare della Cina meridionale, a sud del Vietnam.
Saranno le luci dell'alba a svelare le abitudini cittadine nella quotidianità diurna, ginnastica e tai chi sul lungofiume che sembra un lungomare.
La leggendaria Angkor, ciliegina finale del nostro viaggio, tramonta agli inizi del XV° secolo e da allora subentra la capitale Phnom Penh in posizione geograficamente più interessante per il commercio fluviale con Laos e Cina via il delta del Mékong. E' durante il protettorato francese (1863-1953) che la città viene divisa in quartieri secondo un piano urbanistico tuttora attuale. Andandosene i "protettori" lasciano edifici prestigiosi come il Palazzo Reale, il Museo Nazionale, il mercato centrale Psar Thmei, vari ministeri.
Al Palazzo reale e nel lussureggiante giardino, l'eleganza e la raffinatezza dell'architettura khmer che ha raggiunto il suo apogeo dal IX al XIX° secolo ad Angkor, (gli stessi secoli d'oro di Bagan) risultano evidenti in tutto il loro splendore. Proibite le foto all'interno dei vari edifici; purtroppo molti decori, testi sacri, sculture, oggetti ornamentali sono stati distrutti dal khmer rossi e francamente non ho mai capito perché le dittature neghino la bellezza, perché non amino l'arte, forse perché è l'espressione più fieramente libera della creatività dell'uomo. Lungo il muro di cinta che perimetra l'area un affresco che illustra la narrazione epica del Ramayana. Se la maggior parte dei cambogiani pratica il buddismo theravada, l'influenza induista è sempre presente fusa con riti e credenze di stampo animista preesistente alla diffusione delle due religioni indiane nel mondo khmer.In un edificio tradizionale in terra cotta d'inizio 900, il Museo Nazionale che racchiude la più bella collezione al mondo di sculture khmère, la storia di un millennio di sontuose realizzazioni. Imperdibile anche lo Psar Thmei, il mercato, in un rinnovato edificio Art déco. All'interno soprattutto oro e monili in argento, fuori bancarelle di frutta e verdura fresca, donne che intrecciano fiori di gelsomino, macchine da cucire che lavorano alacremente.Mi sono incantata davanti a una bancarella che vendeva solo capelli e parrucche, non so dire se veri o finti. In mezzo alle chiome fluenti, un viso, e quello era certamente di plastica, ma l'effetto d'insieme mi è sembrato stupendo.
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