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Piano della relazione e piano della modalità

Creato il 02 agosto 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno

Distinguere ciò che è previsto dalla relazione sociale e ciò che, invece, dipende dalla modalità interattiva è di fondamentale importanza: cioè occorre distinguere una reciprocità di aspettative, inclusa nella relazione sociale, da un’aspettativa ordinata dalla modalità interattiva. È facile confondere i due piani, cioè il piano della relazione “istituzionalizzata” e il piano della modalità, soprattutto perché essi si presentano spesso sovrapposti o intrecciati. Operare questa distinzione per noi è di importanza fondamentale, in quanto la relazione sociale appartiene all’ordine sociale, mentre la modalità interattiva appartiene ai diversi modus operandi degli agenti sociali. Di conseguenza, mentre la struttura delle relazioni subisce delle variazioni nel corso del processo storico-sociale, la struttura della modalità interattiva rivela delle componenti costanti.
In ogni relazione sociale è prescritto l’ordine: «Prestare attenzione al limite dell'ambito interazionale». Effettuiamo allora questa prima distinzione: nella relazione strumentale c’è l’ordine: «Prestare attenzione alla richiesta o alla prestazione, ma non necessariamente al richiedente»[1]; nella relazione interpersonale c’è iscritto l’ordine: «Prestare attenzione al ruolo». Arriviamo dunque a questa distinzione: il prestare attenzione alla richiesta o alla prestazione, implicita nel ruolo, fa parte della relazione sociale (personale e/o impersonale), mentre il prestare attenzione al richiedente rimanda alla modalità interattiva. Nelle relazioni sociali il principio della reciprocità delle aspettative è definito su regole e norme costruite e condivise socialmente, invece, la modalità interattiva risponde a un altro ordine di cose. Nelle relazioni sociali la coordinazione delle azioni reciproche è stabilita dalla situazione sociale nella quale gli attori si trovano a interagire: «Se vado in un ristorante posso ragionevolmente prevedere che, salvo eccezioni sempre possibili, mi sarà servito un pasto secondo le mie richieste»[2]. Tuttavia, il modo in cui ci si rivolge all’altro, presenta “aspetti” che non sono del tutto riconducibili alla relazione sociale. Qui non si tratta, come talvolta si usa fare, di ricondurre tali modalità al carattere della persona, anche se è facile confondere il carattere di una persona con la modalità interattiva. La richiesta o la prestazione fa parte della relazione che intercorre tra gli attori, ma il modo in cui essa viene avanzata rimanda alla modalità interattiva. È sufficiente per comprendere questa differenza alla relazione cliente/cameriere così come ci viene presentato nell’esempio di Crespi.
Un cliente può ordinare il suo pasto al cameriere senza neanche accorgersi della presenza altrui, senza cioè prestare la minima attenzione alla persona che gli sta davanti. Ciò che egli vede è soltanto il ruolo, il modo in cui il cameriere si presenta e la sua prestazione; nella relazione cliente/cameriere non vi è iscritto l’obbligo di prestare attenzione al richiedente; naturalmente il cliente può rivolgersi al cameriere chiedendo qualche informazione sulla sua provenienza regionale, cioè prestando attenzione alla sua persona, ma non è obbligato a farlo. Nella relazione strumentale, l’attenzione alla prestazione richiesta è attribuibile al ruolo che l’agente interpreta, ma non è attribuibile direttamente all’attore sociale. Il cameriere, a sua volta, presta attenzione alle richieste del cliente, ma non è tenuto a prestare attenzione ai suoi discorsi; se lo fa, o se finge di farlo, è perché mostrarsi gentile nei riguardi del cliente fa parte delle sue prestazioni di cameriere; ma egli può benissimo fingere di ascoltare con un sorriso e pensare ad altro, invece quando si tratta di prendere nota di quello che il cliente ha ordinato, egli deve prestare attenzione a quello che il cliente ordina. Nella relazione medico/paziente, il primo presta attenzione ai sintomi che l’altro gli manifesta, perché formulare diagnosi esatte fa parte del suo ruolo di medico, anche ascoltare le lamentele causate dal suo male rientra tra i suoi compiti; ma il medico non è tenuto ad ascoltare, ad esempio, i problemi familiari del paziente provocati dalla sua malattia.
Nella relazione cliente/cameriere, così come in ogni altra relazione sociale simmetrica o complementare, sono iscritte determinate aspettative reciproche, codificate socialmente e culturalmente, ma non vi è iscritta nessuna modalità interattiva. Saper ascoltare il punto di vista altrui, instaurare un rapporto empatico con la persona che ci sta parlando, ognuno di noi crede che sia una questione di buona educazione. Per cui chi non sa ascoltare l’altro viene comunemente classificato come una persona maleducata. In realtà, il problema dell’ascolto dipende dal fatto se rientra o non rientra tra i compiti richiesti dalla relazione sociale, in altri termini dipende dal fatto se un ruolo prevede socialmente tra le sue aspettative oltre il compito di ascoltare la richiesta anche quello di porre un’attenzione particolare nei confronti del richiedente. L’interazione analista/paziente, ad esempio, rientra in questo tipo di relazione, poiché pur essendo una relazione personale, in quanto il paziente richiede una prestazione professionale, la richiesta all’ascolto è parte integrante del ruolo dell’analista. Anche l’interazione docente/discente, per alcuni versi rientra in questo tipo di relazione, poiché la buona riuscita della richiesta avanzata nei confronti del discente non può prescindere da un’attenzione nei confronti del richiedente, ma ciò è previsto dal ruolo esercitato dall’insegnante.
In una qualsiasi interazione tenere distinti i due piani, quello della relazione e quello della modalità, non è un compito arduo, specialmente quando si tratta di interazioni interpersonali, come ad esempio accade nella relazione amicale o nella relazione familiare. Spesso i due piani si intrecciano e si sovrappongono di frequente, poiché all’interno di queste interazioni non è difficile che la delusione di una richiesta si traduca immediatamente in un’interazione orientata sul Sé, e che, quindi, si passi immediatamente dal piano della relazione a quello della modalità. L’ordine «prestare attenzione alla richiesta» nelle relazioni interpersonali è scritto a caratteri cubitali, poiché ogni mancata attenzione fa scattare subito quello iscritto nella modalità interattiva: «Tu non presti attenzione a ciò che dico», il che comporta immediatamente un passaggio da un’interazione orientata sul ruolo a un’interazione focalizzata sul Sé. Allora, nella relazione interpersonale, possiamo anche dire che l’ordine è scritto in questi termini: «Prestare necessariamente attenzione al richiedente», cioè nell’interazione interpersonale non si può trascurare il richiedente, e quindi non si può scindere in modo netto il piano della relazione da quello della modalità, poiché in questo tipo di interazione la richiesta avanzata non può prescindere dal richiedente. Se un amico chiede di prestare attenzione a un suo problema, la richiesta è legittima perché è parte integrante della relazione amicale, accettare o deludere tale richiesta, invece, è parte integrante della modalità interattiva che intercorre tra i due amici. Infatti, la delusione della richiesta, legittima l’amico a porre in dubbio la relazione amicale e allo stesso tempo induce a spostare il fuoco della modalità interattiva messa in atto dai rispettivi Sé.
Per chiarire meglio questo aspetto rifacciamo alla differenza che Watzlawick, Bevin e Jackson hanno posto, nel secondo assioma della comunicazione, tra il piano del “contenuto” e il piano della “relazione”; inoltre, prescindiamo per il momento dalle interazioni strumentali e concentriamo la nostra attenzione sulle interazioni interpersonali, in quanto in esse sono compresenti sia il piano della relazione sociale con le loro reciprocità di aspettative sia il piano delle modalità interattive. Nella prospettiva della pragmatica della comunicazione, l’aspetto di relazione è un’informazione sulla informazione, cioè l’aspetto relazione fornisce le istruzioni su come bisogna interpretare l’informazione: «… il primo trasmette i dati della comunicazione, il secondo il modo con cui si deve assumere tale comunicazione»[3]. I due piani, quella della relazione e quello della modalità, anche se si presentano nel corso dell’interazione in modo inestricabile, non devono essere metodologicamente confusi. Per chiarire meglio questo punto essenziale riporto lo stesso caso trattato da Watzlawick et alii: "Durante una seduta di terapia coniugale congiunta, una coppia raccontò questo episodio. Il marito, mentre era solo in casa, aveva ricevuto una telefonata interurbana da un amico che gli aveva detto che doveva venire da quelle parti per qualche giorno. Il marito si era subito offerto di ospitarlo, sapendo che anche sua moglie sarebbe stata lieta di averlo come ospite e che, se si fosse trovata a rispondere al telefono, gli avrebbe fatto lo stesso invito. Ma quando la moglie era tornata a casa avevano litigato aspramente per questa offerta di ospitalità che il marito aveva fatto. Il problema fu esaminato nella seduta terapeutica: sia il marito che la moglie erano d’accordo nell’ammettere che invitare l’amico era la cosa più giusta e naturale da farsi. La loro perplessità sorgeva quando dovevano prendere atto che da un lato erano d’accordo ma poi “chissà perché” non erano d’accordo su quello che sembrava essere lo stesso punto".
Come spiegano gli stessi autori, «i punti in questione erano due: uno riguardava come agire adeguatamente in una data situazione pratica (nella fattispecie, l’invito) e su questo punto era possibile comunicare con il modulo numerico; l’altro riguardava la relazione tra i comunicanti (nella fattispecie, chi aveva il diritto di prendere l’iniziativa senza consultare l’altro) e questo era il punto che non era affatto facile risolvere numerico perché presupponeva che il marito e la moglie fossero in grado di parlare sulla loro relazione» (p. 70). Analizziamo il problema nella nostra prospettiva: il marito comunica alla moglie la richiesta di invitare il suo amico, e pensa che la moglie sia d’accordo perché in un’altra circostanza ne avevano già parlato. Diamo per certo che le cose siano andate effettivamente come in questo caso. Perché allora la moglie litiga? Nella relazione tra i coniugi, così come si è trasformata e codificata socialmente, vi è iscritto questo ordine: «Ogni decisione o iniziativa che riguarda il coinvolgimento di entrambi deve essere presa di comune accordo». Quindi, in base al principio della reciprocità delle aspettative, la relazione prescrive che prima di invitare un amico, entrambe le parti devono essere d’accordo. Il marito non capisce la ragione dell’obiezione della moglie perché crede che anche lei sia d’accordo sull’invito. Allora, poniamo i termini del problema in questo modo: due coniugi sono d’accordo sul fatto di fare un viaggio un una determinata città. Un giorno il marito si presenta con due biglietti e dice alla moglie che giovedì prossimo finalmente possono realizzare il loro desiderio. La moglie per tutta risposta, anziché mostrarsi felice – come il coniuge s’aspetta – della possibilità di compiere quel viaggio a lungo desiderato, comincia a lamentarsi del fatto che il marito non ha minimamente considerato gli impegni di lei. Il marito, a sua volta si fa forte del fatto che il desiderio di fare un viaggio era stato espresso da entrambi. Perché dunque accade questo corto circuito nella loro comunicazione? Ed è esatto dire che entrambi stanno comunicando sulla relazione? In realtà, la moglie sia nell’esempio di Watzlawick che nel mio su che cosa sta comunicando? Secondo la mia prospettiva, essa non comunica sulla relazione ma sta comunicando sulla modalità interattiva del marito, e lo fa in forza della relazione. La richiesta “faremo un viaggio insieme giovedì” è l’informazione o l’aspetto “notizia”, e si svolge sul piano dell’interazione “limitata a”; giacché tale richiesta non ha tenuto conto della richiesta del richiedente, come è prescritto nel contenuto della relazione – «Ogni decisione o iniziativa che riguarda il coinvolgimento di entrambi deve essere presa di comune accordo» – essa ha una ripercussione sull’interazione che da “limitata a” diventa orientata sul Sé; a questo punto accade che la moglie litiga sulla modalità d’azione messa in atto dal marito.
Per essere chiari, la relazione prescrive: «Prestare attenzione alla richiesta del richiedente»; invece, la modalità messa in atto dal marito ha questa forma: «Non ho prestato attenzione alla richiesta del richiedente». La moglie avanza la richiesta di avere attenzione da parte del marito, questa richiesta è legittimata dalla relazione che intercorre tra i due coniugi, ma il marito applica con la moglie la modalità interattiva in cui il punto di vista della moglie non è riconosciuto, e ciò comporta il fatto che il marito, in base alla modalità interattiva, non vede o non presta attenzione alla richiesta della moglie, a sua volta la moglie non si vede riconosciuta una richiesta implicita nella relazione, di conseguenza la donna si vede disconosciuta nel suo ruolo di moglie, e quindi percepisce la modalità interattiva del marito come una minaccia al proprio Sé, perché si sente sminuita nella sua identità di moglie.


[[2] F. Crespi, Introduzione alla sociologia, Il Mulino, Bologna 2002, p. 43. Ovviamente "presentarsi" in un certo modo rientra nel ruolo. Ma tutto ciò che non rientra nel ruolo o non è da esso previsto, deve essere escluso dall'interazione. Così un cliente può lamentarsi se il cameriere ha un aspetto trasandato, ma non può dire nulla sul fatto se sia alto o basso, biondo o castano, ad esempio.
[3] P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma 1971 [1967], p. 45.


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