Non mi piacciono mai i discorsi campanilistici, non mi piace ascoltarli e non mi piace farli. Quello che segue non rientra perciò in questa categoria. Ma un po’ d’orgoglio c’è, c’è l’amore per una terra, che da qualunque parte la guardi, ti stupisce e ti entra dentro, per sempre.
Quando torno a Bari, in aereo di notte, e l’aereo sorvola per qualche minuto la città dall’alto per prepararsi all’atterraggio, mi stupisco ogni volta di quanto possa essere bella Bari. Sembra un’aquila che plana sul mare, pronta a levarsi verso l’alto, forte, sicura, con le grandi ali aperte che vanno da San Girolamo a Torre a Mare. E la testa è il porto. E tutto il corpo si distende nell’entroterra fino alla coda, a Carbonara. È bella Bari per chi ritorna, in aereo. Un po’ meno romantico se arrivi in treno, questo bisogna ammetterlo. Ma anche dal mare non dev’essere male.
Ma la bellezza è negli occhi di chi guarda, dicono. Forse è così. Per me la bellezza di Bari è nei vicoli stretti e contorti della città vecchia, che finiranno sempre, in qualche modo, al mare. La bellezza è camminare per le strade la domenica mattina, in qualsiasi parte della città, e sentire il profumo del ragù. La bellezza è la lingua antica e consonantica, che all’orecchio straniero sembra un dialetto arabo, anche se di arabo ha poco, dicono i linguisti. La bellezza è avere un teatro costruito sull’acqua per eludere un divieto urbanistico, ma che, diciamo la verità, solo i baresi potevano progettare una cosa del genere…
La bellezza è negli occhi delle vecchiette sull’uscio che osservano il tempo passare, impastando e stendendo le orecchiette. La bellezza è soprattutto nel cuore dei baresi, che di difetti ne hanno un sacco, ma, questo bisogna dirlo, hanno un cuore grande. Da dove viene tutto questo amore? Devo dire che questo piccolo moto d’orgoglio è esploso ieri, al cinema, mentre guardavo La Nave Dolce, il docu-film di Daniele Vicari sullo sbarco della nave Vlora il 7 Agosto 1991 a Bari, con il suo carico di circa 20000 albanesi in cerca di libertà. Anche per loro dev’essere stata bella Bari a vederla dal mare. Ammucchiati in ogni angolo di quella nave, arrampicati sugli alberi e sul cordame, arrampicati alle loro speranze di fuggire da un regime per ritrovare, finalmente la libertà. Vedere il porto dev’essere stato come sbarcare in America. Bari, piccola New York. America delle speranze. Fine e inizio di un’avventura, o forse di una vita intera. Io non ho ricordi precisi di quello che accadde quel giorno. Ero troppo piccola per ricordare. Ma nei mesi successivi, ricordo bene i bambini albanesi che arrivavano in classe per qualche settimana e poi via di nuovo (chissà se rimpatriati o ripartiti verso altre città d’Europa in cerca di fortuna). In ogni classe ce n’erano almeno due. E ricordo le collette delle mamme. Ricordo i giocattoli e i vestiti regalati. Ricordo una spesa in cartoleria (quaderni, colori, penne, matite…) per i “nuovi compagni”, come li chiamavano le maestre. Bari generosa.
Non si possono negare certamente i problemi logistici, la disperazione, la follia del modo di affrontare questo tsunami umano che travolgeva la città. Una città che non si rendeva ancora conto di essere, per questa gente, l’America. Bari umile e Bari orgogliosa. Ma soprattutto Bari accogliente, per tutti. A Bari nessuno è straniero. Se entri la prima volta a casa di un barese, ti mostrerà tutta la casa, ti racconterà la storia dei monili nella credenza, la ricetta del calzone di cipolle, ti offrirà un caffè con paste e amaro a tutti i costi (non si esce dalla casa di un barese senza aver preso qualcosa, sennò si offende).
E Bari impegnata a ricostruire la sua storia. Ho come l’impressione che la città si stia voltando a guardare indietro alla ricerca di aneddoti e personaggi che l’hanno spinta ad essere migliore. In questo movimento un po’ introspettivo della città, rientra anche il lavoro della Apulia Film Commission, che sempre più si impegna a sostenere giovani registi emergenti che si occupano di terre pugliesi. Quest’estate una rete locale faceva passare i cortometraggi del Progetto Memoria 2011 in televisione. La qual cosa, già di per sé è una svolta epocale per la Puglia. Finalmente i baresi riescono a guardarsi e a parlare di sé fuori dalle maschere folcloristiche e stilizzate del piccolo delinquente di quartiere arrogante, dell’imprenditore cinquantenne che fa il furbetto, e delle storie un po’ bucoliche girate nelle campagne di ulivi. Forse il cinema sarà la spinta giusta a motivare i talenti locali, un po’ frustrati dalle immagini retoriche e dalla disillusione, a fare di più e a fare meglio. Partendo sempre dalla bellezza per arrivare ad una bellezza ulteriore. Dalla bellezza esteriore a quella bellezza interiore così difficile da raccontare, che ci portiamo dentro ma non riusciamo a spiegare. Forse tramite il cinema riusciremo a raccontare la nostra poesia come riescono a fare altrove. Forse riusciremo, finalmente, a raccontarci senza stereotipi, una volta tanto. Bari Autentica.