La casa di Silvio Guarnieri a Pisa, vicino all’aeroporto, era piena di libri. Quando mi fece dono del suo Utopia e realtà, uscito nel ’55 nei Gettoni di Einaudi, mi parlò di un versiliese come me, Enrico Pea, uno scrittore a lui molto caro, tanto da candidarlo addirittura al Nobel per la letteratura (Lo so, non si tratta di uno scrittore regolare e consacrato, nonostante i suoi settant’anni passati e nonostante la fedeltà del suo impegno ed un costante scavo dei suoi temi, della sua umana ricerca; ma proprio la sua irregolarità, quell’essere considerato ancora oggi uno scrittore di eccezione indicano la sua forza, appunto il suo non conformismo; ed almeno i quattro libri del Moscardino e Solaio resteranno nella storia della nostra letteratura per la perentoria forza del loro linguaggio e l’ariosa volontà di vita che li pervade. Forse proprio Pea [...] potrebbe essere il nostro candidato al premio Nobel più capace di attirare sul suo nome i suffragi dei giudici svedesi, perché il suo estro di scrittore, libero da vincoli troppo stretti con la nostra cultura che per molti versi è ancora una cultura provinciale , od almeno una cultura non completamente innestata in quella europea, lo fa più immediatamente comprensibile da un pubblico straniero [...], Silvio Guarnieri, La condizione della letteratura, 1975, p.91).
Chi ha conosciuto Guarnieri sa della sua generosità romantica e devo confessare di avere considerato le sue parole come una battuta. Ma a distanza di tanti anni ho ricercato e riletto quel libro di Pea e devo confessare che forse sarebbe il caso di promuoverlo e rileggerlo. E poi se anche un poeta come Ezra Pound ne ha curato la traduzione (ma come avrà tradotto certi termini locali?) dovà pur esserci una ragione?