Allineati davanti a Troia, ritti sui cocchi pronti a galoppare nella pianura (è Omero che dipinge la scena: e nella cadenza sublime del verso par di vedere i lampi che il sole traeva dagli elmi e dalle lame), vi erano guerrieri di tutto l'Oriente, accorsi a difendere la città contro gli invasori Achei: e un nucleo più forte e meglio armato degli altri era quello degli Ittiti, scesi dalle roccaforti di Chiatti, Arvad, Alasya, fino alle pianure della Troade.
Si era intorno al XII secolo a. C. : il grande impero ittita, che dalle rupi dell'Anatolia era dilagato sulla Mesopotamia e la Siria fino ai confini dell'Egitto, era sul finire. Seicento anni prima, gli Ittiti avevano saccheggiato Babilonia: ma un secolo avanti la guerra di Troia, forti delle loro armi di ferro, più efficaci di quelle bronzee degli Egiziani, avevano sfidato la potenza dei Faraoni Ramses II, Amenhotep IV e Horemheb, uscendo dalla lotta malconci e fiaccati. Per secoli e secoli questi ricchi e forti conquistatori di stirpe semitica avevano terrorizzato il Medio Oriente: abilmente amministrati, possessori di miniere d'oro, di stagno e soprattutto di ferro, erano riusciti a sottrarsi al'impero dei Sumeri che dominavano la Mesopotamia per signoreggiare, a loro volta, tutti i popoli vicini, dagli imbelli Mitanniti agli audaci Fenici. Da Chatti, la turrita rupestre capitale, nascosta fra le montagne della Cappadocia, a Karkemish, sulla sponda destra dell'Eufrate, l'Impero degli Ittiti ha lasciato infinite rovine, iscrizioni cuneiformi e geroglifiche, tracce di una civiltà forte e raffinata: la prima "civiltà del ferro" del Mediterraneo.
Ma la sua potenza crollò d'un tratto, intorno all'IX secolo a. C., sotto la spinta di una ondata di ignoti invasori europei: forse Achei e Cretesi, se si deve giudicare dai documenti egiziani del tempo di Ramses III. Certo è che le rovine di Karkemish in cui si sono trovati vivi segni del combattimento (case bruciacchiate e crivellate di frecce, suppellettili abbandonate dalla popolazione in fuga) testimoniano la brusca rovina della grandezza Ittita.
Forse, fra gli invasori, erano anche quei Fenici di cui abbiamo parlato più volte: il popolo marinaro più attivo di tutta l'antichità mediterranea, i primi uomini che osarono navigare al largo, oltre le colonne d'Ercole, con l'aiuto delle stelle.
Descrivere tutte le loro imprese, parlare di tutte le leggende che circolavano sull'antichissimo popolo dei Fenici, ci porterebbe troppo lontano: basta ricordare che le loro città costiere (i Fenici ebbero un impero costruito sui porti e sulla flotta, non un grande dominio territoriale), come Tiro e Sidone, furono, nel secondo millennio a. C. , le più civili del mondo conosciuto. Le loro carovane percorrevano l'Asia fino all'India e al Tibet, le loro navi circumnavigavano l'Africa, si spingevano fino in Inghilterra e in Islanda: tutti gli oggetti rari o preziosi arrivavano al Mediterraneo per mezzo loro.
Il popolo fenicio non trascurava però le industrie: assai pregiate erano infatti le stoffe fabbricate dai Fenici e tinte con la porpora che essi ricavavano dal murice, un mollusco largamente diffuso nel Mar Egeo; mentre la lavorazione del vetro e dei metalli, tra cui lo stagno e il rame, facevano affluire nelle loro casse abbondante denaro. Tutte queste ricchezze garantivano ai Fenici l'indipendenza,, nonostante il loro territorio fosse situato fra due grandi potenze, l'Egizia e l'Assira; infatti essi, pur di essere lasciati tranquilli, pagavano volentieri quanto veniva loro imposto ora dall'uno ora dall'altro dei due confinanti.
L'alfabeto fenicio rispecchiava il carattere pratico e attivo di questo popolo che ricorreva a segni semplici e chiari. Dalle 22 lettere del loro alfabeto derivarono poi tutte le lingue europee. Furono essi che, sotto il gran re Hiram di Tiro, costruirono il Tempio di Salomone, a Gerusalemme; furono esse che, quasi tremila anni prima di Ferdinando De Lesseps, scavarono un canale fra il mar Rosso e il Mediterraneo, sul percorso del moderno canale di Suez.
Purtroppo, dei Fenici sono rimaste ancor meno testimonianze che degli Ittiti; le loro città di Tiro e di Sidone sono ancora in piedi, ma il popolo di navigatori che le aveva rese potenti e famose si è disperso, senza lasciare traccia, fra le innumerevoli genti dell'Asia.
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