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Piccole bugie tra amici: fazzolettini bastardi nell'era Sarko

Creato il 02 maggio 2012 da Saramarmifero

Piccole bugie tra amici: fazzolettini bastardi nell'era SarkoParigi, ultimo atto di una notte allucinata. Ludo esce dalla discoteca e in sella alla moto imbocca la via di casa, supera un ponte e va a schiantarsi contro un camion. É il bellissimo e asciutto piano sequenza con cui l'attore e regista Guillaume Canet dà avvio al suo terzo e interminabile film, a sei anni dal thriller rompicapo Non dirlo a nessuno (Ne le dis à personne).
Insegnamento numero uno: mai fidarsi degli incipit fighi, deludono quasi sempre. Iniziano come una pubblicità progresso contro la guida in stato d'ebrezza, e fattanza, ma presto “i fazzolettini” cui fa riferimento il titolo (Les petits mouchoirs), che la distribuzione nostrana non ha perso occasione di deturpare con il banalissimo Piccole bugie tra amici, virano risoluti verso i sempre fruttuosi schemi del cinema-vacanza slash rimpatriata tra amici, con tutto il loro fardello di bevute in compagnia, scheletri nell'armadio, risate amare e colonna sonora arcinota. E viene voglia di andare al mare, certo, ma da soli“Volevo mostrare delle brutte persone” ha confessato Canet, che si è detto deluso dalla sua generazione, dalla meschinità delle loro priorità. Rassicurati Guillaume, ce l'hai fatta alla grande. Raramente si è visto sullo schermo un gruppo di amici più nevrotici, egoisti, ossessivi, vanesi. Gli stessi che dovrebbero stringersi attorno al letto d'ospedale di Ludo, quello dell'incidente in moto, e invece al volto sfigurato del compagno condannato a morte e ai corridoi della clinica preferiscono la bellezza eterna e sconfinata dell'oceano. La combriccola di tardo-trentenni decide di partire comunque alla volta di Cap-Ferret, ma durante la vacanza che nessuno ha avuto il buon senso di posticipare le piccole bugie di ognuno vengono a galla, mettendo a dura prova legami di amicizia decennali. C'è il ricco ristoratore omofobo, impegnato in una guerra patologica contro un manipolo di astute faine che egli cerca di far sloggiare dalla sua villa a colpi di accetta (scena gustosa stile Jack Nicholson in Shining). C'è il padre di famiglia che si scopre innamorato del suo migliore amico, il puttaniere dal cuore tenero e il giullare di turno che non riesce a dimenticare la sua ex. E le donne? Se i personaggi maschili sono ridotti a un paio di grossolane pennellate caricaturali, i tentativi delle brave interpreti Valérie Bonneton e Pascale Arbillot di donare spessore alle loro figure femminili vengono a più riprese frustrati da un copione irrimediabilmente piatto. L'unica a ricevere l'onore di un ruolo a tutto tondo, o almeno in leggero bassorilievo al pari dei colleghi uomini, è Marion Cotillard, che qui, guarda caso, veste i panni di un'attivista per i diritti umani capace di sfoderare in amore una (in)sensibilità da maschietto doc (perchè in fondo ha paura delle relazioni serie, ovvio: dieci e lode per l'originalità). La bella attrice d'oltralpe si conferma regina incontrastata di una recitazione iperbolica tutta smorfie e scene madri, di cui ha dato ampia dimostrazione quando, con mimetismo fastidiosamente iperrealistico, ha prestato il suo corpo divino per incarnare la gracile e sgraziata Edith Piaf. La commediante firma qui un nuovo disturbante contrappunto al consueto fiume di lacrime delle sue interpretazioni: la bolla di muco che cola dal naso. Peccano ugualmente di eccessivo pathos il “quasi amico” François Cluzete lo sciupafemmine Lellouche, che tuttavia riescono a convincere, mentre l'attore di razza Benoit Magimel (La pianista), stenta a trovare la giusta chiave per rendere credibile la confusione sessuale del suo personaggio. 

Piccole bugie tra amici: fazzolettini bastardi nell'era Sarko

Gilles Lellouche, Marion Cotillard e Guillaume Canet

Ma sia chiaro. In una trama corale che scommette tutto sulle prove istrioniche dei vari comprimari, ad inquinare il risultato finale non è stato il cast, che d'altra parte rappresenta il gotha del cinema francese di oggi. Il problema è semmai la storia, agrodolce e moralista, che prima ti sbatte in faccia il desolante cinismo della società contemporanea e sul finale, complice un funerale ad elevatissimo tasso lacrimale, fa marcia indietro e gioca la carta dell'autoassoluzione collettiva, con l'aggravante che dopo due ore e mezza di film nessuno dei personaggi è cambiato di una virgola. Quel che è peggio, Canet tratta i suoi spettatori come dei mocciosi da imboccare: scena dopo scena, come un pedagogo vecchio stampo intavola il suo menù. Qui si ride, qui si piange, e lo si fa come dico io. E la lezioncina di etica non tarda ad arrivare, puntuale, per bocca di un semplice allevatore d'ostriche che, improvvisatosi filosofo, a colpi di saggezza popolare raddrizza una ad una tutte le storture di questo gruppo di borghesi vacanzieri. E qui si riflette, signorsì signore.

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