The day after è così mieloso e buonista (e non potrebbe essere diverso) che ormai sembra un day after-eight, un po’ dolce, un po’ amaro, ma non troppo e con quel frizzo di menta che ci dà un brividino di emozione.
Ma qualche considerazione tocca farla.
Premetto che (ormai sto diventando uno scrittore premettente):
NON sono iscritto a nessun partito né mi interessa esserlo,
di conseguenza
NON miro a nessuna carica di partito (ovviamente) né tanto meno pubblica,
di conseguenza
NON cerco visibilità o seguito.
Ciò premesso, da elector vulgaris ho partecipato alle primarie del cosiddetto centro-sinistra il cui risultato è a tutti noto.
E già qui bisogna fare un primo appunto a moltissimi commentatori o, peggio, opinionisti stipendiati della carta stampata:
Matteo Renzi ha preso i voti del 39% degli elettori del ballottaggio, che non è lo stesso che il 39% degli elettori del centro-sinistra (vero o cosiddetto non cambia), né è lo stesso che il 39% del Pd.
Quindi Bersy ne tenga ovviamente conto, ma fatta l’abbondantissima tara di chi fossero quegli elettori.
Ho frequentato, per curiosità e benevola amicizia di qualche addetto, alcuni seggi torinesi delle primarie, sia al primo sia al secondo turno, e ho visto un pubblico in parte piuttosto singolare: avendo svolto un’attività pubblica per più di trent’anni, conosco e sono conosciuto da un cospicuo numero di persone e non avendo grossi problemi di comunicazione (usando un eufemismo) ho avuto modo di parlare con svariate di quelle che ora vedevo a registrarsi e votare e posso dire per certo che non erano elettori del centrosinistra e che difficilmente lo saranno alle prossime consultazioni.
Ora, considerando ininfluenti i voti al marxista Tabacci e alla sopravvalutata (soprattutto da sé stessa) Puppato, che i vendoliani hanno votato Nichi e non altri, che casomai a Vendola sono arrivati voti da piddini incazzati, che qualche vecchio malagodiano Bersani non lo voterebbe mai, neppure sotto tortura, per esclusione non restano in molti a essere beneficiari di quei voti allogeni.
Alcuni li ho rivisti al ballottaggio, restringendo il raggio di dispersione.
Poi, per carità, minimizziamo per amor di partito, ma non chiudiamo gli occhi.
Altro punto dolente, in senso stretto, è la ricucitura in corso degli innumerevoli tagli, graffi, morsi (più o meno avvelenati) che si sono scambiati in casa Democratica renzichenecchi e bersanieri, le due tifoserie da stadio delle opposte fazioni.
Sono uscite frasi e gesti che non vedo facilmente risolvibili con una pacca sul culo e un: “Massì, dai…”
Qui vedo un certosino e affrettato lavoro da Daughters of American Revolution chine a rammendare le bandiere stracciate in combattimento, mentre fuori ancora infuria la battaglia.
Un voremose bbene che, in parte e sottolineo “in parte”, faccio veramente fatica a credere, vista la genesi della candidatura Renzi e del suo “movimento”.
In etologia, l’opportunismo è talvolta considerato positivamente per la sopravvivenza della specie, anche se può creare difficoltà a causa degli sbalzi di numero e conseguenti conflittualità nelle “popolazioni” considerate.
Ma il parassitismo è viceversa sempre negativo per l’organismo “ospite”.
Renzi dell’opportunismo ha fatto un metodo e se ne fa pure vanto (in abbondantissima compagnia) e dopo aver indagato in quale compagine cercare fortuna, date le origini democristiane e il periodo di sfascio e divisione della balena bianca, causa affollamento e temporanea disgrazia in casa berlusconiana sceglie Prodi, ben più promettente, che infatti vince.
Sgomita fino a diventare presidente della sua provincia di cui millanta rivoluzioni epocali che attualmente la Corte dei Conti mette in dubbio e oltre, si candida contro tutti alle primarie da sindaco e, a sorpresa, le vince.
Ancora nessuno si chiede con quali soldi abbia fatto la campagna di allora, ma non importa, evidentemente, perché sindaco diventa.
Ma lì, avendo pestato un po’ troppi piedi, si assesta in stand by la sua carriera anche nel partito che ha sfidato.
Allora, con l’acume che indubbiamente possiede, si riguarda intorno e abbraccia la nascente teoria della rottamazione dei giovani lombardi di Pippo Civati con cui inaugura la famosa prima Leopolda che, certo non per suo merito, era veramente un momento di stacco epocale.
Comprende che oltre a lodevolissimi motivi di riscatto generazionale e di lotta contro i dinosauri di un partito che, nascendo dalla fusione di due continenti perduti, si ritrova anche con due gallerie degli antenati e due musei delle cere, in parte animate e parlanti, nel folto gruppo dei rottamatori fermentano i trombati a vari livelli e gli incompresi, quelli che non hanno fatto la “sfolgorante carriera” che si ripromettevano.
E che, ovviamente covano rancori e fremiti di rivalsa.
E a questi in particolare dà un lumicino di speranza, per la maggior cattiveria e spregiudicatezza rispetto agli storici, convinti e ragionevoli rottamatori.
E strappa loro il ruolo di rottamatore-capo (senza grande fatica, visto che Civati & co. già si muovevano, con forse troppa prudenza, oltre) estromettendoli, con relativa eleganza, anche dalla seconda Leopolda.
Qui si chiude il cerchio: a fronte di un numero cospicuo di convinti, forse miopi, innovatoristi, lo zoccolo duro dei rancorosi revanscisti cresce e si autoconforta, aggredisce, si stizzisce, sottolinea, stigmatizza e scassa i coglioni su qualsiasi cosa, i nervi a fior di pelle e una risposta sgarbata per chiunque, anche per i propri non correttamente allineati.
Et voilà, le coup de theatre: si presenta alle primarie per il premier!
Avute rassicurazioni finanziarie da chi da un po’ lo segue con curiosità e interesse (qui) il Nostro, dopo aver cazzeggiato a lungo come un centravanti da esportazione, raduna la sua mandria di scazzati (e il suo esercito in buona fede) e parte all’attacco dell’apparato.
Apparato così ottuso (con alcune Cassandre in un mondo di sordi) da sottovalutare sprezzantemente il valore dei soldi alle spalle del toscanaccio, la quantità di giovani sanamente insoddisfatti e la rancorosa cattiveria degli scartati a qualunque selezione.
E qui scatta il parassitismo: utilizza gli interni Pd per sfruttare tutte le possibilità che un grande partito gli dà a livello di diffusione, capillarità, comunicazione interna e, ebbene sì, “apparato”.
Usano le sedi, i circoli, gli incontri, le manifestazioni (il più delle volte senza faticare, che per quello ci sono i “negri” fedeli), per diffondere il “verbo”, con le parole chiave: rottamazione, nuovo, merito (senza dire da chi stabilito), insomma, il dizionario berlusconiano al completo..
La stragrande maggioranza degli iscritti vede, comprende, borbotta, ma non esplode per amor di partito, perché i panni sporchi si lavano in casa dai tempi di Togliatti e De Gasperi.
E il contagio, soprattutto tra gli insoddisfatti (la maggioranza in qualunque grande struttura), si diffonde, anche tra gli intelligenti, disillusi, ma con qualche sasso (forse macigno) nelle scarpe.
Il resto è storia recente, tutto il campionario da figlio di “Drive in”: scorciatoie, provarci, “le regole valgono solo per gli altri”, “mah, occhio ragazzi che ci vogliono fregare”, le centinaia di migliaia di euro che non si sa da dove arrivano (o si sa ed è peggio), campagna da Obama dei poveri, sempre con quella camicina bianca, che non c’ha neppure il fisico per esibirla (eppoi l’altro è “abbronzato” e “stacca”), quei pantaloni aderenti che le riprese da dietro non l’aiutano, quell’astio da primo della classe della scuola privata, quell’occhio sempre a mezzo servizio, che l’altro mezzo pensa ad altro.
E la sconfitta, con le scuse già pronte da anni, le stesse di sempre: il partito contro, l’età (a minuti non ce la farà più a usarla come scusa), la fiorentinitudine, fuori dagli schemi (e anche fuori dalle regole)…
“Adesso!” la palla passa a Bersani e saranno cazzi in ogni caso.
A dispetto delle amichevoli dichiarazioni ufficiali, ora il vero nemico è Monti, per tutto ciò di peggio che rappresenta (ammesso che esista non un meglio, ma un pochino meno peggio) a livello di grandi poteri finanziari, di cui Renzi sarebbe stato portatore “sano”.
E il nemico sono anche le vecchie carampane, in senso lato (sì, tu sì, Rosy), che zavorrano questo Hindenburg nel viaggio verso l’America, e la frattura inesorabile delle due anime inconciliabili lo porta a cercare di stare più lontano che può da Lakehurst sperando in qualche escamotage, come un Olandese volante che spera di non fare la figura dell’olandesina della pubblicità.
Se aveste ascoltato di più i Civati di due anni fa (o anche solo dell’ignobile assemblea di Roma), non avreste avuto (forse) il Renzi della Leopolda di Gori col frigo/sponsor e, soprattutto, quest’ultimo, con la kryptonite delle banche in tasca.
E sappiate che il problema trombati lo dovete affrontare, prima o poi, non si può sempre pensare che “tanto poi passa”, perché alle prossime li troverete di nuovo lì, col prossimo Masaniello che li monta. E più primarie fate, più ne producete.
Parlate chiaro, spiegate serenamente i perchè e sappiate che vi aspettano al varco.
Adesso!, si diceva, punto e a capo.
Noi sinistri ( e non darci un’etichetta: vendoliani, ex-qualcosa, vetero-qualcosaltro. Siamo sinistri e basta, senza tanto centro) siamo qua, ad aspettare un segnale, ma sappi, Pigi, che non aspettiamo né a lungo, né con le mani in mano.
(e ricordati che mi devi un birrozzo!)
P.s. un grazie a tutti quelli che il culo per queste, forse inutili come dice qualcuno, primarie se lo sono fatto davvero, ai “vecchi” (con e senza virgolette) dei circoli che hanno ospitato i seggi, che hanno creduto davvero che servissero a cambiare, comunque la pensino.