Articolo di Francesca Radaelli
27 settembre 2015
È stata una giornata intessuta di parole, di racconti e di
proposte quella che si è svolta ieri all’Urban Center del Teatro Binario 7 di
Monza. Una giornata che ha dato spazio e voce a tante piccole storie che ne
raccontano una grande, grandissima, e rivoluzionaria. Raccontano di come sia
davvero possibile realizzare un mondo di pace nella quotidianità. Una giornata
in cui sono state avanzate proposte che a molti sembreranno magari fuori dal
mondo, visionarie e utopiche, ma che forse basterebbe solo un pizzico di buona
volontà per far diventare realtà concreta.
Il tema era “Educare alla pace”, il sottotitolo “Il
nutrimento delle coscienze”, l’occasione le celebrazioni della Giornata
internazionale per la pace nel mondo organizzata dal’Onu, gli organizzatori UPF Monza, WFWP (Federazione delle Donne per la Pace
nel Mondo) e il Comune di Monza. Si è parlato di sostenibilità,
condivisione, dialogo inter- e intra-religioso, cura del pianeta e degli altri.
Agli ‘appassionati’ relatori, per lo più rappresentanti di realtà religiose,
politiche e associative, va il merito di essersi presentati all’appuntamento
innanzitutto come persone, portando le proprie esperienze e le proprie idee con
umiltà e disponibilità all’ascolto, in un clima costruttivo e aperto.
“Mai come ora Monza è
chiamata a essere una città aperta, una città che sia ‘casa delle culture’, una
città di pace”, ha detto il sindaco Roberto Scanagatti aprendo il convegno,
dopo una prima introduzione a cura di Carlo
Chierico ed Ettore Fiorina di UPF Monza. “Siamo tutti chiamati diffondere
una cultura di pace, in una battaglia che deve essere condotta quotidianamente.
Riconoscendo l’altro, il diverso, come soggetto con cui è possibile uno scambio
importante: solo così possiamo fare davvero della diversità nutrimento per le
coscienze”. Il riferimento è all’attualità e al territorio, alla questione dei
migranti e dell’accoglienza, un problema che si inquadra in una situazione
geopolitica globale che nel corso del convegno diversi relatori hanno definito
“da Terza guerra mondiale”.
Ha condotto tutti quanti dall’altra parte del mondo Giuseppe Calì, presidente onorario UPF
Italia, presentando Modadugu Vijay
Gupta e Anota Tong, i vincitori del
premio Sunhak Peace Prize, conferito dall’associazione a livello mondiale.
Il primo, un biologo indiano, promuove l’acquacoltura come una soluzione alle
crisi alimentari del mondo. Il secondo, presidente della repubblica del
Kiribati, è impegnato a risolvere il difficile problema ambientale della sua
isola, un atollo del Pacifico che l’oceano sta progressivamente sommergendo per
effetto dei cambiamenti climatici. Due storie che hanno introdotto un argomento
tra i più scottanti e urgenti del nostro tempo, che ha rappresentato accanto
alla questione delle migrazioni internazionali e dell’incontro tra culture il
secondo fil rouge della giornata: il tema della cura del pianeta e delle
risorse naturali.
All’argomento è stata dedicata un’intera sessione – che ha
visto gli interventi della deputata
Maria Chiara Gadda, di Marzio Giovanni Marzorati di Legambiente e dell’insegnante buddista
Marco Valli – ma di sacralità del creato e di futuro sostenibile si è
parlato sin dall’inizio e a tutti i livelli, dalla religione all’economia. Con
un focus particolare sul ruolo centrale dell’educazione, approfondito nella
tavola rotonda più ‘politica’, quella moderata dall’assessore all’Istruzione del comune di Monza Rosario Montalbano,
con gli interventi di Pierfranco Maffè,
presidente dipartimento Istruzione ANCI Lombardia, Roberto Guerriero,
consigliere provinciale di Monza e Brianza, e Martina Sassoli, consigliera
comunale di Monza.
Il modello di sviluppo basato sul consumo sfrenato non solo
mette in pericolo il futuro delle prossime generazioni ma non porta nemmeno ad
essere felici. Lo ha illustrato – interpellato da Carlo Zonato, presidente UPF Italia – Stefano Bartolini, autore del
Manifesto per la Felicità, mettendo a nudo la profonda infelicità in cui
versa proprio quella società in cui questo modello ha trovato piena
realizzazione. Ossia la ricca società americana, nella quale insieme al Pil
sono cresciute vertiginosamente anche le dipendenze, le malattie mentali, i
suicidi. In cui “si compra qualcosa di costoso e privato per sostituire
qualcosa di gratis e comune”, in cui a generare spesa, quindi consumi, quindi
crescita economica è il diradarsi delle relazioni sociali e di quei beni comuni
che – e a dimostrarlo sono studi statistici oggettivi – sono gli unici a fare
davvero la felicità. Se la ricerca di questa felicità, come sottolineato dagli esponenti del buddismo Marco Valli e
Giovanna Giorgetti, è l’obiettivo che accomuna ogni uomo, forse allora sono
proprio i beni comuni quelli più preziosi, quelli da ricercare.
Proprio “La cura di una casa comune” è il sottotitolo
dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Lo ha ricordato don Augusto Panzeri, responsabile della
Caritas decanale: “La casa è la nostra, è a ciascuno di noi che il papa si
rivolge. Non possiamo parlare della questione ambientale solo in astratto,
guardando la televisione, siamo chiamati anche noi a camminare a piedi nudi
sulla nuda terra, come san Francesco”.
Da persone che camminano è percorso il mondo intero.
Migranti economici e migranti spirituali. E alla fine sono proprio le storie
delle persone, le piccole storie evocate dai diversi relatori a rimanere
impresse con maggiore forza. Da quella, raccontata da don Augusto, del libro
sacro che passa di padre in figlio e costituisce l’unico bagaglio di chi lascia
la propria casa per migrare in un altro paese (“un libro che non è la
religione, ma dice la fede”), a quella di Louis
Massignon, il “cattolico musulmano” precursore del dialogo tra cristiani e
Islam, di cui ha parlato Yussef Sbai,
vicepresidente Ucoi (Unione Comunità Islamiche d’Italia). Ma anche la
storia del villaggio Nevè Shalom Wāħat
as-Salām, l’ “Oasi della Pace” su territorio palestinese, in cui convivono
volontariamente arabi e ebrei, raccontata da Pietro Mariani Ceriani, vicepresidente dell’associazione italiana Amici
di Neve Shalom. E quella, portata da Mauro
Sarasso, della più vicina comunità di Malnate, impegnata a promuovere la
cultura del dono in un piccolo comune in provincia di Varese,
“Dietro alla cultura della pace non c’è business, per questo
è difficile trovare canali per diffondere la pace”, ha sottolineato Yussef Sbai.
Se nel continente africano – come ha ricordato Beatrice Nicolini, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa
dell’Università Cattolica – tutto è solidarietà e condivisione, troppo
spesso nella nostra società è invece la
logica del denaro a guidare scelte e comportamenti. Spesso con i soldi si
comprano anche le anime delle persone.
Eppure, considerando i problemi globali e le piccole storie
individuali affiorate nel corso del convegno, viene da chiedersi se valga
davvero la pena continuare ad attribuire tanto valore a ciò che si compra col
denaro, a ciò che si compra per se stessi. Forse davvero lavorare per il bene
comune rende più felici. Forse “diventare pace ed essere pace”, come ha
invitato a fare Maria Gabriella Mieli,
vicepresidente WFWP, vuol dire soprattutto fare del bene a noi stessi.
già pubblicato da
http://www.ildialogodimonza.it/piccole-grandi-idee-per-un-mondo-di-pace/
Magazine Cultura
Possono interessarti anche questi articoli :
I suoi ultimi articoli
-
Voltare pagina e vedere un nuovo orizzonte. Nuova recensione di Rosaria Andrisani a "Come le donne"
-
“Scacco matto. Giocando con la psichiatria” di Mauro Tonveronachi (2016) Edilè Editore
-
Nuova recensione di Chiara Pesenti per "Come le donne" di Tiziana Viganò
-
"LA MIA OSSESSIONE": racconto di Cristian Dall'igna per IL VIZIO DI SCRIVERE