Mi piace quando una lettura scatena in me, oltre a trip della fantasia e repentini innamoramenti, anche riflessioni sul senso della letteratura, sulle modalità di comunicazione del testo, sull’educazione letteraria. Esplicito così dei nodi, chiamiamoli epistemologici, che non avevo ben chiarito prima, e pervengo a nuove domande che cercano soluzioni e risposte concrete. Mi sembra un risultato che un buon libro degno di tale nome potrebbe sempre augurarsi, com’è il caso di Picnic al cimitero e altre stranezze di Marie-Aude Murail.
Intanto, cos’è. La scoppiettante autrice francese, straordinaria autrice, tra gli altri, di Mio fratello Simple, Oh boy! e Nodi al pettine si mette alla prova con un genere insolito, per i ragazzi: la biografia. Fin dalla copertina si precisa subito che si tratta di “un romanzo” su Charles Dickens, ma la collocazione editoriale (“Gru biografie”) non lascia molto spazio a disquisizioni improduttive.
La storia raccontata è quella del grande autore inglese, vista sotto la lente della straordinarietà: di Dickens vengono messi in luce soprattutto gli aspetti eccentrici e quasi sovra-umani, come l’incredibile prolificità della scrittura, l’energia nel gestire i rapporti umani o la generosità ai limiti del verisimile. A partire dall’infanzia, tratteggiata quasi come un suo stesso romanzo, la vita dello scrittore prosegue tra alterne fortune. Ampio spazio è dato al racconto dell’ideazione e della scrittura delle opere, ma senza annoiare: esse si rivelano sempre i punti culminanti di una serie di esperienze vissute, quasi ne fossero corollari necessari, parti integranti dell’esistenza. Per chi, come me e come credo molti, conosceva la vita dell’autore in modo del tutto superficiale e approssimativo, la lettura si rivela un’esperienza integrante, che mette persino la voglia di leggere o rileggere alcune dei suoi capolavori.
L’autrice si rivela come sempre abile nel padroneggiare registri che vanno dal comico al serio. «Mentre lotta contro il vento e la pioggia, gli viene voglia di fuggire di lì, di tornare a Chatham, di andare a buttarsi tra le braccia del signor Giles. E piange, piange senza sapere che oggi le strade che percorre portano i nomi dei suoi personaggi, Little Dorrit Court, Pickwick Street, e che la scuola del quartiere, quella dove gli piacerebbe tanto andare, si chiama scuola Charles Dickens». Si risponde qui a un bisogno di grandezza, si raccontano i desideri e le aspirazioni che ogni bambino ha e dovrebbe avere; ancor più importante in un contesto come quello attuale, in cui i ragazzi potrebbero pensare che alla fin fine la meritocrazia non esista, che il talento non conti. Dickens, al contrario, con la sua storia, dimostra esattamente il contrario.
Il secondo ordine di pensieri è relativo al posto, o al ruolo, che un testo così potrebbe avere o non avere nella famigerata lista delle letture scolastiche. Più in generale: biografia sì o biografia no?
Biografia forse. Non avevo mai pensato al racconto di vita come genere da proporre a scuola; forse perché non sono un estimatore del genere, forse perché non ne ho letto abbastanza. In effetti, però, un romanzo di questo tipo si propone come lettura agevole e divertente, che però è anche in grado di informare, da un lato, e di aprire nodi interdisciplinari (così cari a certi pedagogisti) tra italiano, inglese e storia dall’altro. Partendo dall’esperienza reale di Dickens, infatti, è possibile riflettere in classe sul ruolo dell’autore, magari anche passare alla lettura diretta dei suoi romanzi, che sono certamente adatti a quest’età; una strada, insomma, per riscoprire un grande classico con la lente della curiosità sulla sua persona. Certo, è una prospettiva molto “carducciana” e poco strutturalista o ermeneutica e bla bla bla; ma in fondo, è importante, a quest’età?
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