È brutto sentirsi accusare senza poter rispondere…vorrei un confronto, subito, perché queste cose è bene farle a caldo, cercherò un luogo, se lui è disposto…il contraddittorio è una regola di civiltà…Così ci eravamo lasciati, la settimana scorsa, con le critiche sollevate dal vice direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio nella trasmissione Servizio Pubblico e la volontà di replica del Presidente del Consiglio Pietro Grasso.
Ma così non è stato.
Corrado Formiglia ha invitato Pietro Grasso e Marco Travaglio per un confronto nello studio di Piazza Pulita. È la stessa rete, lo stesso orario, un format paragonabile con Servizio pubblico ma, il presidente del Senato ha accettato l’invito, Marco Travaglio, no.
“È una cosa irrituale che il Presidente del Senato telefoni come un politico qualunque per protestare, perché lei ha deciso di fare quel gesto” domanda Corrado Formigli. – “Una persona con la coscienza pulita cosa può temere, a cosa può andare
incontro? – replica il presidente del Senato - “La vita è sempre confronto, del resto voglio trasformare il Senato in una casa trasparente e la mia nuova funzione istituzionale veniva sporcata, opacizzata da queste parole così difficili da contrastare per la loro genericità - Oggi bisogna fare una comunicazione diversa, la gente vuole sapere e avevo la necessità di chiarire perché l’operazione realizzata da chi estrapola pezzi della tua storia facendola a pezzi e rendendola opaca non può essere consentita”.Seduto di fronte al conduttore, Pietro Grasso si offre, volontariamente al mediatico processo, dove le accuse lanciate dal giornalista Travaglio vengono esaminate con dovizia di dettagli una a una. Vuole far chiarezza. Vuole dire la sua verità. Vuole pulire la sua immagine prima di iniziare il suo nuovo incarico. Non si rassegna ad essere accusato da Travaglio senza possibilità di replica. Un doveroso atto pubblico che segna un punto a favore di Pietro Grasso. ” Sono disposto alle critiche, ma su fatti e sui comportamenti, ma non ha battute sprezzanti, come quelle che ho sentito al telefono, “non si possono avere sempre i violini che suonano” e sentire l’applauso di tanti giovani presenti alla trasmissione, devo poterli guardare negli occhi, quei giovani, non è possibile tacere”.
E chiarezza sia. Partendo da quella che, secondo lo stesso Grasso, gli ha dato maggiore fastidio, la critica di “inciuci con il potere”. Il vice direttore del Fatto aveva infatti definito Grasso ”un italiano, molto furbo, un uomo di mondo”, ha sempre saputo gestirsi bene, che si sarebbe “sempre tenuto a debita distanza dalle indagini su Cosa Nostra e politica”, ottenendo per questo consensi dal centrodestra. Formigli gli chiede se esista una lotta alla mafia senza toccare il livello politico: “Assolutamente no – spiega l’ex magistrato – perché la mafia essendo un’organizzazione che vuole arrivare al potere ha le sue collusioni con la politica. Il problema è la metodologia con cui si affronta, ripenso a una frase di Giovanni Falcone che diceva che in Italia per essere credibili, bisogna morire”.
Poi è la volta di un lungo patto di potere che ha seminato morte e dolore, il processo al politico più longevo e potente della prima Repubblica, le accuse a Andreotti citato da Travaglio quando spiegò come, a Palermo, Grasso si fosse rifiutato di firmare l’atto di appello contro l’assoluzione in primo grado di Andreotti, “lasciando soli i sostituti procuratori che avevano presentato questo appello”. Grasso prova a fugare i dubbi e spiega perché non ha firmato: “Ero stato testimone nel processo, tanto da essere sentito in istruttoria proprio da Scarpinato. La mia firma sull’appello avrebbe impedito la chiamata come testimone nel successivo grado di giudizio. Non ho lasciato solo nessuno”. Secondo Grasso fu questo l’unico motivo per cui decise di non aggiungere la sua firma: “Comunque andai con i colleghi di Palermo e misi la mia faccia su questa sentenza”. “A tagliarli fuori è stato il Csm quando ha stabilito che i magistrati in antimafia, aggiunti, dopo 8 anni avrebbero dovuto lasciare l’incarico”. E ricorda come andò “a perorare la loro causa chiedendo la proroga almeno fino a 10 anni. Ma il Csm fece una delibera inderogabile e non ci fu niente da fare”.
E sulla questione del pentito Nino Giuffré, vicinissimo a Don Bernardo Provenzano che Grasso riuscì a far collaborare, ma non informò il pool antimafia facendo scoppiare un putiferio: “Bisogna conoscere cosa significa parlare con un collaboratore, bisogna capire se è attendibile e finché non si hanno riscontri deve rimanere segretissima la notizia, ci sono familiari, mogli e figli che possono correre pericoli, il pentito poi sapeva di talpe che potevano esserci, come poi si è scoperto. quindi solo successivamente fu messo a disposizione di tutti i magistarti e lì fornì informazioni preziosissime”.Ma l’accusa più pesante fatta da Travaglio e che più tocca il presidente del Senato riguarda la presunta collusione con il potere e anche la nomina come procuratore nazionale antimafia e il rapporto con Caselli. Travaglio: “Grasso ha preso le distanze da Caselli e ottenuto tre leggi dal centrodestra per farlo fuori dalla corsa alla procura nazionale antimafia”. Per il giornalista “leggi anticostituzionali che però Grasso ha utilizzato per diventare procuratore nazionale antimafia, mentre il governo faceva fuori il suo unico rivale”. Grasso nega anche in questo caso di aver cercato favori. “Tutte queste cose le avrei potute spiegare anche a Marco travaglio, senza nessun livore, in un confronto sereno che potesse far capire che le cose possono essere viste in modo diverso. Ho la forza dei miei 43 anni al servizio dello Stato, voglio che questa sia la mia immagine, non voglio vedere dubbi nei giovani, nei cittadini e nel Parlamento. Perché questo è terribile e mi distrugge. Ma con la situazione che abbiamo oggi in Italia, uno deve venire in tv a giustificarsi per le accuse di Travaglio?
In conclusione, l’imputato Pietro Grasso, si è prestato al contradditorio. Con calma e attenzione ha risposto alle accuse, sviscerando punto per punto tutti gli elementi e raccontando la sua realtà. Marco Travaglio ha perso un ‘occasione unica e qualsiasi replica, giocata in casa Servizio Pubblico, avrà il sapore di un poco utile monologo.