La recessione economica italiana continua o il peggio è passato? La risposta è nell’andamento del Pil. L’Italia è ancora degna di essere nel G8, cioè nel Vertice delle grandi economie del pianeta, o presto ne sarà cacciata? La risposta è nella classifica mondiale del Pil. La spesa pubblica e le tasse in Italia aumentano ancora o finalmente stanno diminuendo? Occorre confrontarle con l’andamento del Pil. Ecco, porsi tre domande così semplici è sufficiente a comprendere quanto sia importante il concetto di “Prodotto Interno Lordo”, o “Pil” appunto.
Il Pil è uguale al valore monetario dei beni e dei servizi finali – quindi consumi, investimenti fissi, variazioni delle scorte, esportazioni – prodotti in un dato anno sul territorio nazionale.
Un breve esempio per spiegare cosa si intende per beni e servizi “finali”, intanto. Poniamo che in Italia ci siano soltanto due imprese: l’impresa A che produce acciaio e l’impresa B che produce automobili. L’impresa A vende acciaio per un valore di 100 euro all’impresa B che, a sua volta, utilizza quell’acciaio per costruire automobili che poi vende per un valore di 200 euro ai cittadini italiani. A quanto ammonta dunque il valore dei “beni finali prodotti” sul territorio nazionale? Sommare semplicemente i valori di tutta la produzione dell’economia, cioè i 100 euro che l’impresa A ottiene producendo acciaio e i 200 euro che l’impresa B incassa producendo automobili, sarebbe errato. L’acciaio infatti è un bene “intermedio”, utilizzato per la produzione di un bene “finale” come le automobili. Perciò per calcolare il Pil dell’Italia, in questo esempio molto semplificato, useremo solo il valore monetario del bene finale, le automobili, e il Pil ammonterà dunque a 200 euro. Nella realtà sommeremmo tutti i valori monetari dei beni e dei servizi finali prodotti in un paese, ed ecco che avremo calcolato il Pil italiano che, nel 2013, secondo l’Ocse, ammontava a 1.618,9 miliardi di euro (si vedano le tabelle Ocse selezionando nelle tendine in alto Country: Italy e Measure: C current prices).
Un’altra precisazione è necessaria, a proposito del “valore monetario” dei beni e servizi considerati nel calcolo del Pil. Come emerge dall’esempio dell’impresa A e dell’impresa B, il Pil è la somma delle quantità dei beni finali valutati al loro prezzo corrente. Il Pil di un paese può dunque crescere nel tempo sia perché aumenta la produzione e la vendita di beni, sia semplicemente perché con il passare del tempo aumenta il prezzo di questi beni. Per non essere ingannati dalle apparenze, e non scambiare dunque un aumento dell’inflazione per un aumento della produzione in un Paese, spesso si ricorre al Pil reale. Invece di valutare le quantità di beni e servizi a prezzi correnti, si parla di beni e servizi valutati a prezzi costanti. Così i confronti del Pil, anche a distanza di tempo, saranno più realistici. Un piccolo esempio, pure questa volta, per capire meglio. Poniamo che nel 1999 l’ormai famosa impresa B vendesse 10 auto al prezzo di 20 mila euro ciascuna; nel 2000, 12 auto dello stesso modello al prezzo di 24 mila euro ciascuna; nel 2001, 13 auto al prezzo di 26 mila euro. Il Pil nominale – che è uguale alla quantità di auto per il loro prezzo – passa da 200 mila euro nel 1999 (10 x 20.000 euro) a 338 mila euro nel 2001 (13 x 26.000 euro). Un aumento del 69% del Pil nominale. Per misurare la crescita reale, cioè non dovuta a un aumento dei prezzi, il Pil viene valutato a prezzi costanti, facendo riferimento a un anno base. Il Pil reale quindi, calcolato per esempio ai prezzi del 2000, passa da 240 mila euro nel 1999 (10 x 24.000 euro) a 312 mila euro nel 2001 (13 x 24.000 euro), segnando un aumento – depurato dal rialzo dei prezzi – del 30%.
Ecco per esempio qui di seguito l’andamento italiano calcolato dall’Istat in base ai prezzi del 2010. Come si vede a occhio nudo, ancora alla fine del 2014 il valore dei beni e dei servizi finali prodotti dall’Italia è inferiore a quando è iniziata la crisi nel 2009.
Il Pil viene spesso utilizzato per rappresentare in maniera sintetica la capacità produttiva di un Paese. In questo modo si possono realizzare piuttosto facilmente confronti intertemporali in uno stesso Paese. Per esempio, secondo gli economisti, si parla di “recessione” di un Paese quando il Pil di quel Paese diminuisce per almeno due trimestri consecutivi. Inoltre il Pil facilita i confronti internazionali della capacità produttiva di diversi Paesi. Secondo gli ultimi dati ufficiali della Banca Mondiale, ecco di seguito la classifica delle 20 più grandi economie del pianeta:
La potenza produttiva di un’economia non fa sempre e comunque la felicità dei suoi cittadini, si dice spesso. Tuttavia sempre il Pil ci può fornire anche indicazioni molto più precise sullo sviluppo e il benessere di una società. Il Pil infatti, oltre a essere uguale al valore dei beni e servizi finali prodotti da un Paese in un dato anno, può essere anche calcolato dal lato del reddito e inteso appunto come somma dei redditi percepiti nell’economia in un dato anno. Riprendiamo il primo esempio, quello di un’Italia piuttosto semplificata, in cui esistono soltanto un’impresa A che produce acciaio e un’impresa B che produce automobili. La fabbrica A vende acciaio a 100 euro; 80 euro vanno ai lavoratori e 20 euro vanno all’impresa. La fabbrica B ha ricavi per 200 euro dalla vendita di automobili: di questi 200 euro, però, 100 euro servono per pagare all’impresa A l’acciaio necessario (bene intermedio); 70 euro vanno ai lavoratori e 30 euro rimangono all’impresa. Se sommiamo redditi da lavoro e redditi da capitale (o profitti), il Pil dal lato del reddito della nostra Italia sarebbe sempre pari a 200 euro. Ecco perché, calcolando il Pil pro capite – che si ottiene semplicemente dividendo il Pil per il numero di abitanti di un certo Paese – ci possiamo fare un’idea più precisa del benessere medio dei cittadini.
Di seguito, la classifica stilata dalla Banca Mondiale dei primi 20 Paesi per Pil pro-capite. Come noterete, non coincide con la classifica del Pil complessivo. In Cina, per esempio, la capacità produttiva del Paese è la seconda al mondo; ma se poi si divide quella capacità produttiva, o quel reddito generato, per un numero di abitanti superiore a 1,3 miliardi… L’Italia, ottava al mondo per Pil complessivo, è ventiseiesima se si calcola il Pil pro-capite di ognuno di noi.
Infine il Pil offre una misurazione delle nostre economie nazionali che può tornare utile a quegli osservatori che – come i lettori di questo sito web – intendono monitorare l’andamento della spesa pubblica e delle tasse. Dire che il totale delle spese sostenute dallo Stato italiano è passato da 774 miliardi di euro nel 2008 a 798 miliardi di euro nel 2013 è importante; ma è ancora più utile sottolineare che evidentemente la spesa pubblica è aumentata più velocemente della ricchezza prodotta dal Paese, se è vero che nel 2008 le spese totali del nostro Stato erano pari al 49,2% del Pil dell’Italia e invece nel 2013 hanno raggiunto il 51,2% del Pil! E nello stesso periodo le entrate dello Stato italiano (leggi: le tasse) sono passate dal 46,5% del Pil al 48,2%.
Per ragioni simili, anche deficit e debito pubblico, come noto, vengono spesso espressi in rapporto al Pil di un Paese.