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Piperno, tra Kafka e Philip Roth

Creato il 11 novembre 2010 da Andreapomella

Piperno, tra Kafka e Philip RothUnione Sarda, 10 novembre 2010 – Quando nel 2005 Alessandro Piperno si fece conoscere ai lettori italiani con quella folgorante opera prima dal titolo Con le peggiori intenzioni, qualcuno (nella fattispecie Antonio D’Orrico sul Corriere della Sera) azzardò un paragone nientemeno che con Proust. La cosa deve aver causato qualche problema di apnea a Piperno, che di mestiere insegna proprio Letteratura francese all’università romana di Tor Vergata, se è vero che la gestazione di questo secondo romanzo dal titolo Persecuzione in uscita in questi giorni, tra dubbi, rinvii e riscritture, alla fine si è protratta per cinque lunghissimi anni.
Certo è che la grande attesa che circondava quest’opera (prima parte di un dittico dal titolo Il fuoco amico dei ricordi che vedrà l’uscita del secondo capitolo nel 2011) non ha favorito il suo accoglimento da parte del pubblico e della critica. Eppure il romanzo, edito come il primo da Mondadori, a conti fatti non tradisce.
La storia, ambientata nel 1986, racconta la caduta di un oncologo infantile di assoluta fama internazionale, Leo Pontecorvo, singolare figura di ebreo romano di successo che viene inchiodato suo malgrado da un’accusa feroce e infamante, l’aver intessuto una relazione con la fidanzatina dodicenne del figlio. Da quel momento, gli agi e l’esclusivismo della sua tranquilla esistenza borghese precipitano in un gorgo di orrore sempre più fitto e cupo, la sua vita intima e professionale finisce sotto la lente d’ingrandimento di personaggi che sembrano nati apposta per distruggerlo, il suo diventa un caso mediatico senza appelli.
Più di tutto, però, ad annientare la vita di Leo Pontecorvo è il voltaspalle che subisce dalla sua stessa famiglia. La moglie Rachel e i due figli Filippo e Samuel si rinchiudono in un silenzio ostinato, un mutismo accusatorio che costringe il professore a rintanarsi nel seminterrato della loro villa all’Olgiata, dove trascorrerà quella che nel libro viene definita una “scarafaggesca reclusione”, tirando in ballo Kafka, ossia l’autentico genius ispiratore di tutta l’opera.
Riluttante per sua stessa ammissione a occuparsi di temi che riguardano l’attualità, Piperno, attraverso il personaggio di Leo Pontecorvo, mette comunque in scena un dramma tipico dei nostri tempi. Come nelle cronache che ci riguardano da vicino, anche in Persecuzione la fallibilità della giustizia si intreccia al perverso desiderio del pubblico di avere sempre nuovi mostri da sbattere in prima pagina.
Da un punto di vista stilistico il romanzo alterna alle molte luci qualche ombra. Detto di Kafka, altro padre putativo di Piperno è senz’altro il Philip Roth de La macchia umana. Troppo forte il richiamo allo scandalo che travolge il professor Coleman Silk e la sua brillante vita accademica e personale. Non è un difetto, beninteso. In tempi in cui la maggior parte degli autori, in particolare quelli italiani, giocano partite scontate, o peggio ancora giocano sempre la stessa partita, imbattersi in uno scrittore con delle ambizioni alte è quasi una benedizione. Tuttavia, in questo confronto, a tratti Piperno sembra smarrirsi. Nulla di grave, ma nonostante l’insistenza e la maestria con cui scandaglia la psicologia dei personaggi, in certi passaggi della storia questi restano leggermente opacizzati dietro una patina di cliché.
La cosa migliore del romanzo resta comunque il suo incedere flessuoso, un crescendo che ha il suo apice simbolico nell’ultima parte, quando il ricordo cocente di un fine settimana londinese trascorso con i due figli si sovrappone nel protagonista al presente tragico, a un’ultima occasione che gli si offre per ricongiungersi con la sua famiglia. E lì, a leggere quelle pagine struggenti, si prova dolore vero.

ANDREA POMELLA


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