La religione fa bene anche alla salute psicofisica. Questo ormai è ben noto ai tanti psicologi “seri”, cioè non ideologizzati né aprioristici, che si occupano del benessere delle persone.
La più autorevole conferma si trova nel già tante volte citato Manuale di religione e salute: la metanalisi compiuta su circa 2.800 ricerche scientifiche ha trovato in circa 2/3 di esse effetti positivi della religione nel benessere (psichico, medico e sociale) delle persone, con una minima parte di studi negativi e gli altri inconcludenti.
Uno degli ultimi studi che conferma questo legame positivo è stato pubblicato poco fa, nell’aprile 2013, nella rivista Journal of Affective Disorders. La ricerca esamina 159 pazienti in cura psichiatrica per depressione, e trova che l’avere un credo religioso migliora la risposta al trattamento terapeutico.
Nello specifico, la ricerca ha trovato che l’effetto positivo sarebbe riconducibile a una migliore compliance (leggi còmplaians), cioè la “complicità” tra malato e terapeuta, da parte dei pazienti credenti rispetto ai non credenti. La cosa di per sé non costituisce una novità: già il Manuale aveva trovato che, su 27 studi a proposito, in 15 (56 %) la complicità è positiva (migliore nei credenti), mentre in 4 (15 %) è negativa.
Vale forse la pena di allargare lo sguardo rispetto alle conclusioni assodate dallo studio: il rischio è di arrivare a dire “la religione fa bene solo perché…”. Il benessere psicofisico maggiore dei credenti è dovuto a diversi motivi:
* chi crede sa bene che la vita ha un senso. E avvertire un senso nella vita implica vivere la vita meglio, con pienezza e gusto (vedi la logoterapia di Frankl);
* chi crede sente l’amore di Dio su di sé. E sentirsi amati è ovviamente una cosa positiva (vedi l’attaccamento religioso di Kirkpatrick);
* chi crede avverte la religione come un’esperienza di picco, capace di subordinare gli altri bisogni umani a un ideale più grande, altruista verso gli uomini e trascendente verso Dio (vedi l’esperienza di picco di Maslow);
* chi crede sa di avere una comunità di riferimento e di cui fa parte, dalla quale eventualmente attingere informazione, sostegno e risorse (vedi il paradigma socio-costruttivista, che riconduce il comportamento umano all’ambiente sociale).
Tutto questo rimanendo, per così dire, a livello scientifico, dato che chi crede sa bene che al proprio benessere contribuisce lo Spirito Santo con i suoi doni: amore, gioia, pace, pazienza… Elementi che ovviamente la ricerca scientifica non può (per definizione) accertare. In definita: credere fa bene alla salute. E di questo aspetto positivo, indubbiamente fondamentale per la nostra società, purtroppo non se ne parla mai abbastanza.