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Piumini, gli idraulici e i versi sciolti

Creato il 29 giugno 2015 da Annalife @Annalisa
Prezioso, introvabile

Prezioso, introvabile

Tanti anni fa, così tanti che non ricordo nemmeno più quanti, quando le scuole avevano personale, ore a disposizione, e qualche soldo per fare cose ‘non scolastiche’ senza dipendere da sponsor o presidi manager, quando le biblioteche aiutavano e non si tiravano indietro perché non c’erano fondi o ore straordinarie, quando le ore in più le potevi fare per cose belle, iniziative, attività per i ragazzi e non per compilare relazioni, tabulati di progetti, resoconti di progetti, questionari di autovalutazione e via discorrendo, tanti anni fa, insomma, chiamammo a scuola Roberto Piumini.
Avevamo organizzato la settimana della lettura: vennero lui, Roberto Denti, un attore che raccontò l’Odissea e la recitò in dialetto veneto, Mario Gomboli, un altro attore che lesse brani scelti da libri per ragazzi accompagnandoli con le sue canzoni, e poi Mino Milani e altri ancora che non ricordo.
Questo per dire che razza di cose riuscimmo a fare.

Io organizzavo: preparai volantini, misi in piedi un concorso per la maglietta-libresca più bella, telefonai, ricevetti, accompagnai, assistei.
Lo feci anche con Piumini, che entrò nell’atrio con la sua barba e la sua faccia burbera [*], mettendosi una mano in tasca e chiedendomi se le classi che lo aspettavano avrebbero retto la lettura di un poemetto non semplicissimo. Io pensai alle tre classi seconde che si erano iscritte a quell’incontro, e a due di quelle classi composte da disgraziati e accompagnate da due colleghe che intendevano approfittarne per riposare un po’, e tremai e risposi: sì, certo, però, proviamo.
Piumini entrò, si sedette al centro della sala, tirò fuori questo librino e si mise a leggere. Io mi guardavo intorno per identificare subito i caporioni dei disgraziati.
Dopo un minuto, in quella enorme sala che tiene duecento persone, dove eravamo in settanta alunni (alcuni dei quali solitamente anche un po’ fuori di testa) e quattro adulti, ecco, non volava una mosca.
Eravamo tutti lì, guardavamo quest’uomo al centro, che leggeva col suo vocione la storia di Foreghet, e trattenevamo il respiro. Dopo i primi cinque minuti col fiato sospeso (e la prima coltellata narrativa), Piumini ci aveva nelle sue mani. O nella sua voce, o nelle sue parole, fate voi, ma eravamo comunque “come in lacci di luce impaniati”.
Vi conto anche questo: a metà della storia (che dura all’incirca un quarto d’ora, a leggerla a voce alta, con calma), entrarono nella sala due idraulici, o operai, o chissà chi, insomma: due uomini in tuta blu e con un cinturone di attrezzi in vita. Percorsero il passaggio dietro le sedie dove eravamo seduti, chiacchierando e zompando con gli stivali e dirigendosi all’altro angolo. Piumini si fermò e alzò la testa. Zitto. Li guardava. I ragazzi, tutti i ragazzi, non mossero un muscolo, non fecero un fiato. Guardavano Piumini. Gli operai arrivarono all’altro angolo, controllarono qualcosa, si girarono e tornarono indietro. Piumini li seguiva con lo sguardo. I ragazzi seguivano Piumini. Gli operai sentirono qualcosa nell’aria. Si girarono, ci videro. Voglio dire: ci “videro” veramente, settantaquattro persone in silenzio, a fissare il nostro cantastorie che fissava loro, gli intrusi. Il più grosso degli operai fece una cosa buffa, ma che sembrò, allora, perfettamente adeguata: si mise a camminare in punta di piedi. Sui suoi stivaloni, ma in punta di piedi. L’altro incassò la testa nelle spalle e lo seguì senza più un fiato. La porta si chiuse. Piumini chinò la testa e ricominciò a leggere la storia di Foreghet.
Nel pomeriggio andai nella città più vicina a comprare il libro. Adesso ne ho tre o quattro copie, sparse per la casa. Qualcun’altra l’ho regalata. Il libro non è più stampato, perciò me lo sono imparato a memoria. Quando ho una bella classe, come regalo di fine anno recito loro la storia di Foreghet (sobbalzano come ho fatto io alla prima lettura, e spalancano gli occhi quando si arriva al brigante e alle sue bevute). Quando voglio sentire qualcosa di bello, me lo ripeto. Ho imparato a capire persino Traun, il fabbro, padre di Foreghet. E ho cominciato a frequentare anche Estela, e, da ultimo, Gimbo il boscaiolo. Piccoli capolavori in versi sciolti. Mai ristampato, appunto, a testimonianza dell’ottusità di certa editoria.

[*] La faccia burbera di Piumini (che poi ci ha ammaliato) mi è rimasta impressa per mesi, almeno fino a quando non l’ho visto sul palco di una fiera della piccola editoria a farci cantare a squarciagola (i miei figli, nipoti, altri bambini e io) la canzone della cacca.



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