Proprio adesso che l’anno scolastico è finito si torna a parlare d’insegnamento linguistico e della possibilità di riformare un sistema fondato sulla prevalenza della lingua madre e dunque sul “divieto” – parzialmente violato da progetti isolati – di concepire percorsi didattici nei quali la cosiddetta seconda lingua non sia vista esclusivamente come oggetto di studio a sé stante, ma entri in gioco anche per veicolare la conoscenza di altre materie.
Non si tratta di un dibattito nuovo. Esiste un vastissimo repertorio di pubblicazioni scientifiche (prodotte anche in loco) che hanno cercato negli anni di sottrarre (senza grande successo) il tema ad un approccio quasi sempre caratterizzato da un’eccedente dose di emozionalità. Sul tappeto sono così continuate a rimanere alcune formule (per esempio quella relativa al concetto di “immersione” o di “scuola mista”) responsabili di non aver consentito l’elaborazione di strategie che potessero integrare quelle conosciute, alimentando al contrario una sorta di guerra di religione tra sostenitori del cambiamento ad ogni costo e difensori dello status quo. Il risultato: alcune buone ragioni degli uni e degli altri non hanno fornito la base di un confronto serio, orientato al miglioramento, ma sono state cancellate dall’enfatizzazione di argomenti precostituiti e ideologici. Abbiamo così sprecato molto tempo in estenuanti diatribe lontanissime dall’obiettivo che tutti (a parole) dicevano di perseguire: assicurare, almeno in prospettiva, una salda ed effettiva competenza nella “lingua degli altri”.
Fa ovviamente piacere leggere adesso le dichiarazioni di Dieter Steger (in un’intervista pubblicata giovedì dalla Tageszeitung) con le quali il presidente del Consiglio provinciale si rammarica del fallimento della sperimentazione della scuola Carducci e, a fronte di un sensibile calo delle competenze linguistiche nella seconda lingua, propone una rinnovata discussione sulla scuola superiore trilingue quale “alternativa alla scuola nella madrelingua”. Bisogna però rendersi conto che una discussione di questo genere non può rivelarsi proficua se non abbiamo il coraggio di risolvere alla radice la contraddizione finora percepita come insormontabile. Formulata con una domanda questa contraddizione si presenta così: l’evoluzione del nostro sistema scolastico in senso plurilinguistico costituisce un attacco alla cornice istituzionale dell’autonomia (dunque da scongiurare) o ne rappresenta una positiva evoluzione (dunque da promuovere)? Questo è il punto, il nodo decisivo da affrontare selezionando e attivando le migliori energie intellettuali delle quali disponiamo. E soprattutto: un nodo da approfondire in modo sistematico, non quando la scuola ha appena chiuso i battenti e tutti ormai pensano solo alle vacanze.
Corriere dell’Alto Adige, 26 giugno 2010