Circa duemila anni fa un pensatore-filosofo greco, Plutarco, scrisse l’opera “L’arte di ascoltare”. Nel suo scritto Plutarco si rivolge ai giovani con l’intento di avvicinarli all’arte di ascoltare. Cerca di convincerli che la conoscenza del mondo, e di se stessi, passa dalla disposizione ad accettare gli altri per come sono e dalla capacità di usare i modi giusti per metterli in condizione di esprimersi. Arriva a dire che “l’ascoltatore fino e puro deve immergersi con la concentrazione fino a cogliere il senso profondo del discorso e la reale disposizione d’animo di chi parla.” In un altro passaggio del testo sottolinea come: “I più invece, a quanto ci è dato vedere, sbagliano, perché si esercitano nell’arte di dire prima di essersi impratichiti in quella di ascoltare, e pensano che per pronunciare un discorso ci sia bisogno di studio e di esercizio, ma che dall’ascolto, invece, possa trarre profitto anche chi vi s’accosta in modo improvvisato. Nell’uso della parola, invece, il saperla accogliere bene precede il pronunciarla, allo stesso modo in cui concepimento e gravidanza vengono prima del parto.” Di là dalla finalità specifica del testo, l’educazione dei giovani, ciò che colpisce è l’opinione che l’ascoltare non solo è importante tanto quanto il parlare, ma, addirittura, lo precede in senso logico e temporale: prima si ascolta e poi si parla.