Ho scelto questa immagine dopo aver letto i versi dell’autore che mi hanno fatto pensare a tutte quelle persone – critici e non solo – che ci guardano sempre dall’alto, che credono di sapere tutto e pensano di essere così superiori rispetto agli altri, di avere la verità in tasca, da non considerare minimamente il pensiero e l’opera altrui neanche come possibilità ma di scartarla a priori.
Ci sono casi purtroppo in cui va esattamente così e Cristiano Torricella lo dice ma non si arrende e dal mio punto di vista fa benissimo perchè crede – ed io con lui – che il pensiero, l’arte e vera libertà di espressione siano così grandi e importanti che nessuno può fermare!
Questa breve introduzione mi è nata spontanea, spero di non aver rubato spazio ai versi e alla poesia che qui propongo in versione originale (dialetto romanesco) e in versione tradotta a cura sempre dell’autore.
Pecché tu sappia….
di Cristiano Torricella
Pecché tu sappia, o critico,
che nun m’aspetto, da te,
nisciuna comprenzione,
inerente li versi che mo’ scrivo
e a molti, forse, oscuri e dduri versi,
troppo llontani da ‘la commoda via,
pe’ questo scrivo ‘sta ppoesia,
perché la morte nun la lavi via,
st’anima mia.
Pecchè ner tuo ricordo io sia n’ poeta ddiverso,
nun venduto, nun stampato,
nell’oscuro obblio der tempo perso,
però n’ poeta lo stesso,
alla faccia der granne business editoriale.
Pecché tu sappia,
che a vita mia è sempre inizziata da’ la fine,
dar momento n’ cui sarò seppellito,
dar momento n’ cui sarò, forse, n’ricordo:
su le tombe dell’artri,
lì, ho vvisto er mjo obblio,
l’obblio de’ li miei anni
e de’ li miei morti,
lì ho vvisto a’ dimenticanza de’ mme ppoeta,
che l’omini hanno sempre avuto,
e sempre avranno.
Divenni poeta,
‘nterogannome su’ a morte,
e nun capii mai,
pe’ quanto me sforzassi,
tanta fatica pe’ emerge,
creà, amà, vivè’
e poi più gnente,
solo na’ bara,
deposta liì, tra i’ sassi.
Compatiteme,
perciò, o fratelli,
se r’ mio linguaggio è forse poco commerciale:
porto er vestito de la vita,
che al sarto de l’inferno riuscì mmale.
Anacronistico fui, n’vita,
e preferii a’ sarvezza dell’anima mia,
ad un monno de laida corruzzione generale.
Note: poesia ggenerata e nun creata, de’ la stessa sostanza der Cosmo, n’ data 4 novembre 2000. Prego appore sta’ mia ‘nsolita ppoesia su’ a mia tomba mortale, n’ modo che ‘sserva, da monito, a li vivi.
L’autore.
Perché tu sappia
(traduzione in lingua italiana, a cura dell’autore)
Perché tu sappia, o critico,
che non mi aspetto da te
nessuna comprensione,
inerente i versi che scrivo
e a molti, forse,
oscuri e duri
e lontani dalla comoda via,
per questo scrivo questa poesia,
perché la morte non la lavi via,
l’anima mia.
Perchè, nel tuo ricordo, io sia un poeta diverso,
non venduto, non stampato,
nell’oscuro oblio del tempo perso,
però poeta lo stesso,
alla faccia del grande business editoriale.
Perché tu sappia che la mia vita
è sempre iniziata dalla fine,
dal momento in cui sarò seppellito,
dal momento in cui sarò forse ricordo:
sulle tombe degli altri,
lì ho visto l’oblio dei miei anni e dei miei morti,
lì ho visto la dimenticanza di me poeta,
che gli uomini hanno sempre avuto,
e sempre avranno.
Divenni poeta interrogandomi sulla morte,
e non capii mai, per quanto mi sforzassi,
tanta fatica per emergere, creare, amare, vivere e poi …
solo una bara deposta tra i sassi.
Compatitemi, perciò, fratelli,
se il mio linguaggio è forse poco commerciale:
porto il vestito della vita,
che al sarto dell’inferno riuscì male,
anacronistico fui,
e preferii la salvezza dell’anima mia
ad un mondo di laida corruzione generale.
Note: poesia generata e non creata, della stessa sostanza del Cosmo, in data 4 novembre 2000.
Prego apporre questa mia insolita poesia sulla mia tomba mortale, in modo che essa serva da monito ai vivi, grazie.
Ai posteri.
L’autore.
(poesia tratta dal libro “poesie in dialetto romanesco di fine ’900 del Rione Monti di Roma“, di Cristiano Torricella, poeta romanesco del Rione Monti di Roma e dei Castelli Romani)