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Poesie di questa carne che siamo

Creato il 01 ottobre 2012 da Wsf

Poesie di questa carne che siamo

Tamara de Lempicka – Irene e le sue sorelle

Il metodo di Allen Ginsberg

Il metodo dev’essere purissima carne
e non condimento simbolico,
visioni reali & prigioni reali
come si vedono di quando in quando.

Prigioni e visioni presentate
con rare descrizioni
corrispondenze esatte a quelle
di Alcatraz e Rosa.

Un pranzo nudo è naturale per noi,
noi mangiamo sandwiches di realtà.
Ma le allegorie sono tali lattughe.
Non nascondere la follia.

CERCA LA CARNE SULLE OSSA di Dylan Thomas

Cerca la carne sulle ossa fra non molto
Spolpate e bevi alle due munte rupi
Il dolce midollo e la feccia,
Prima che le mammelle delle dame
Siano vizze e le membra brandelli.
Non profanare, figlio, i sudari, ma quando
Vedrai le dame fredda pietra, appendi
Una rosa d’ariete sugli stracci.

Ribèllati alle leggi della luna
E al parlamento del cielo,
Al governo del mare perverso,
A tirannia del giorno e della notte,
A dittatura di sole.
Ribèllati all’osso e alla carne,
A parola di sangue, ad astuzia di pelle,
E al verme che nessuno può ammazzare.

La sete è spenta, la fame placata,
E lungo il cuore ho uno spacco;
La faccia è smunta allo specchio,
Le labbra smorte dai baci
Ed è smagrito il mio petto.
Una ragazza allegra mi prese per uomo,
La stesi giù e le narrai il peccato,
Le misi accanto una rosa d’ariete.

Il verme che nessuno può ammazzare
E l’uomo che nessuna corda impicca
Si ribellano al sogno di mio padre
Che da un ostello di rossi porci
Ulula il sozzo demonio alle spalle.
Non posso come un pazzo assassinare
Stagione e sole, grazia e ragazza,
Né il mio dolce risveglio soffocare.

La nera notte amministri la luna,
Il cielo detti pure le sue leggi,
Il mare parli con voce regale:
Non nemici ma un unico compagno
Sono il buio e la luce.
Guerra al ragno e allo scricciolo!
Guerra al destino umano!
E distruzione al sole!
Prima che morte ti prenda, ah sconfessalo!

LETTO DI NEVE di Paul Celan

Occhi, ciechi al mondo,
dentro le crepe del morire:
vengo, io, con più durezza
in cuore. Vengo.

Specchio lunare ardua
parete. Giù! (Lanterna
macchiata di fiato. Strisce
di sangue. Anima
annuvolante, di nuovo
quasi figura. Ombra delle
dieci dita – avvinghiate.)

Occhi ciechi al mondo,
occhi dentro le crepe del
morire, occhi, occhi:

Il letto di neve sotto noi
due, letto di neve. Cristallo
per cristallo, in griglia
profonda quanto il tempo,
noi cadiamo, e
cadiamo e restiamo e cadiamo.

Noi cadiamo: Noi fummo.
Noi siamo. Siamo una sola
carne con la notte.
Nei cunicoli, cunicoli.

Lady Lazarus di Sylvia Plath

L’ho rifatto.
Un anno ogni dieci
Ci riesco -
Una specie di miracolo ambulante, la mia pelle
Splendente come un paralume Nazi,
Un fermacarte il mio
Piede destro,
La mia faccia un anonimo, perfetto
Lino ebraico.
Via il drappo,
O mio nemico!
Faccio forse paura? -
Il naso, le occhiaie, la chiostra dei denti?
Il fiato puzzolente
In un giorno svanirà.
Presto, ben presto la carne
Che il sepolcro ha mangiato si sarà
Abituata a me
E io sarò una donna che sorride.
Non ho che trent’anni.
E come il gatto ho nove vite da morire.
Questa è la numero tre.
Quale ciarpame
Da far fuori ogni decennio.
Che miriade di filamenti.
La folla sgranocchiante noccioline
Si accalca per vedere
Che mi sbendano mano e piede -
Il grande spogliarello.
Signori e signore, ecco qui
Le mie mani,
I miei ginocchi.
Sarò anche pelle e ossa,
Ma pure sono la stessa identica donna.
La prima volta successe che avevo dieci anni.
Fu un incidente.
Ma la seconda volta ero decisa
A insistere, a non recedere assolutamente.
Mi dondolavo chiusa
Come conchiglia.
Dovettero chiamare e chiamare
E staccarmi via i vermi come perle appiccicose.
Morire
È un’arte, come ogni altra cosa.
Io lo faccio in modo eccezionale.
Io lo faccio che sembra come inferno.
Io lo faccio che sembra reale.
Ammettete che ho la vocazione.
È facile abbastanza da farlo in una cella.
È facile abbastanza farlo e starsene lì.
È il teatrale
Ritorno in pieno giorno
A un posto uguale, uguale viso, uguale
Urlo divertito e animale:
“Miracolo! ”
È questo che mi ammazza.
C’è un prezzo da pagare
Per spiare
Le mie cicatrici, per auscultare
Il mio cuore – eh sì, batte.
E c’è un prezzo, un prezzo molto caro,
Per una toccatina, una parola,
O un po’ del mio sangue
O di capelli o un filo dei miei vestiti.
Eh sì, Herr Doktor.
Eh sì, Herr Nemico.
Sono il vostro opus magnum.
Sono il vostro gioiello,
Creatura d’oro puro
Che a uno strillo si liquefà.
Io mi rigiro e brucio.
Non crediate che io sottovaluti le vostre ansietà.
Cenere, cenere -
Voi attizzate e frugate.
Carne, ossa, non ne trovate -
Un pezzo di sapone,
Una fede nuziale,
Una protesi dentale.
Herr dio, Herr Lucifero,
Attento.
Attento.
Dalla cenere io rivengo
Con le mie rosse chiome
E mangio uomini come aria di vento.

CARPO

reperto n° 3

Di Dome Bulfaro

Da qui a Tarquinia, nel sangue vascolare
quando ci si attinge con uccelli e pesci
alla nostra reciproca Caccia e Pesca
non c’è horror vacui:
ma se la lingua si rìfa serpentina
su cui incanalar scorribande e ogni silenzio
un cassetto dove accalcare alla rinfusa pasticcini
bisticcetti e striduli fini è normale

che ogni scheggia di legno trovi colore
nella carne, che tutto petuli e sbotti
e ci si raccatti a braccio in mocci e ossucci
e cocci dappertutto. L’orrore adesso,
all’idea di riguardarci specchio, giù
in un tuffo precipitato per via
del non sapere se e come liberarci
di quella nostra cassettiera che c’è


Filed under: poesia, scritture Tagged: Allen Ginsberg, arte, Dome Bulfaro, Dylan Thomas, il sottile filo della parola, Nudità Delle Parole, Paul Celan, poesia, scritture, Sylvia Plath, Tamara de Lempicka, WSF

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