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Poesie per un no. Roberto Rossi Testa

Da Fabry2010

Poesie per un no. Roberto Rossi Testa

Di Nadia Agustoni

Da “una distanza ampiamente inferiore a quella di sicurezza” Roberto Rossi Testa perviene con Poesie per un no Aragno Edizioni 2010, a un colloquio con il proprio doppio che nel lettore suscita sentimenti di riconoscimento e disconoscimento davanti a quell’io che “ Se anche tornasse indietro,/ se pure risalisse,/ non riconoscerebbe;/ non riconoscerebbero/”. Tanto più quell’io ci costringe a una dura riflessione, nel suo non riconoscere e nell’essere così “solo”, perché per Rossi Testa l’io e il tu sembrano assumere il significato di un duello interiore con il poeta che dice a se stesso:” finalmente a noi due”. Nel due c’è la finzione della lingua, un prendersi gioco di se stessi non più con l’interrogazione, ma in uno specchio spezzato. La figura si osserva e sembra indicare una colpa, un errore compiuto, senza dirci quale. I versi ci conducono su percorsi accidentati e sembra di assistere alla lotta di Giacobbe con l’angelo. Sarebbe facile scrivere di questo libro che è un excursus giocato sul viaggio dell’anima, ma Roberto Rossi Testa si conduce tenendosi vicino alla terra e senza tralasciare una certa vena ironica che rende più potente il senso delle sue parole. Il “solo” dell’inizio, nel primo poemetto, è il segno distintivo di un’umanità che davanti all’ignoto intuisce che non tutto nell’esistenza può essere spiegato e che in una certa misura c’è un segreto nella vita che non ci è dato comprendere. Le nostre domande ci portano nel luogo in cui non c’è una risposta, ma una soglia, dove comprendiamo la non-risposta. Dio non risponde: chiama. E’ l’ascolto che ci cambia, non la parola: questa è solo un gioco con “formine a forma di cometa e farfalla”, un gioco cui ci prestiamo nella modalità della lingua che non è una voce, non è un suono, ma un tracciato: il disegno-segno-alfabeto dove si compie la nostra volontà e dove Dio, detto con Cristina Campo, ci gira intorno. E’ questa, anche, la fatica di comprendere quei no della vita che fanno male e sembrano schernirci, specialmente quando siamo nel “si”, e quindi nella fiducia e nella vulnerabilità. Perché se Dio ci gira intorno, se è segno-parola ma non è ancora voce, qualcosa manca.

Si impara bussando, sperando, e non ricevendo risposta.” (1)
Helène Cixous, in uno dei suoi scritti parla del teatro come luogo del crimine e del perdono. Il teatro ci dà “il tempo della pietà”. Le voci di alcuni poemi mettono in scena la pietà. Ne fanno un segno tangibile e ci riescono perché non evitano la luce piena della crudeltà, né il vedere la figura denudata e ridotta a puro volto su cui lo stupore e il dolore sono indistinguibili quando il no è enunciato per loro. Perché infine nulla ci è spiegato dalla vita: sappiamo solo che a gioco fermo ciò che rimane è polvere o meno ancora: è il silenzio della polvere. (2)
Edipo e Lear ci danno, con la cecità e la pazzia, un esempio della dimensione di oltre-confine dove il dolore non trova più né segno né referente: solo l’urlo, il mozzare le parole e renderle afone a chiudere l’equivoco. Ma la loro tragedia se è troppo immensa per lasciarci immuni lo è anche per trovare completamente spazio in noi. Non possiamo assumerli integralmente perché loro sono un destino, non si fermano alla vita e noi chiediamo ancora di essere solo vita.
Non ogni esistenza è un destino, e siamo in tema “campiano”, ma ogni esistenza è comunque tentata da un destino: o lo sfugge o gli va incontro senza saperlo. Se il destino non si compie la vita si perde nell’apparenza.
Per questo il senso di vulnerabilità in Poesie per un no ci sorprende: perché vita e destino si mostrano e scompaiono in un equilibrio che è fino in fondo retaggio dell’umano. E di più ci sorprende la commozione perché ci è ricordato che in noi ci sono divinazione e parola e la fonda pozzanghera dell’occhio animale, muto dove ogni incomprensione e ogni fragilità si sommano in un vuoto dove: “ la nave/ fatto naufragio infine/perviene alla sua pace/.
Leggere la somma dei nostri vuoti è destino. Ma, e c’è sempre un “ma” in ogni storia: “[…] lungo la tua via/ si vedon la gallina/ randagia e una cagna/ passeggiare appaiate, / fanciulline filosofe/.

Note:

1 – Helène Cixous, Scritti sul teatro; in Il teatro del cuore, pag. 106; Pratiche Editrice 1992

2 – Scrive Helène Cixous nel testo citato sul teatro: “ Nel nostro mondo che è il contrario del paradiso, è l’innocenza che è la violenza, la colpa. L’innocente è colpevole. L’Idiota eccede tutta la società. Con la sua bontà il principe Myškin fa male.” (pag. 93-94)
“L’Idiota” eccede anche perché sembra non avere bisogno di perdonare: è prima del perdono, in un bene sconosciuto. Invece, sempre Cixous: “ Chi va verso l’uomo passa necessariamente attraverso la Bestia, la tomba , le stelle.” ( pag. 96)
In tutto questo l’incontro con la polvere può essere l’incontro con la pietas.
La morte, sempre presente nella vita, se ci aiuta a superare gli egoismi può essere un magnifico, spoglio, teatro di redenzione: “ Per prima cosa prendiamo il Teatro sul serio. Voglio dire, è bene andarci seriamente, come dei bambini. Perché si può fare finta di andare ad ascoltare un’opera. E allora non succede niente. Ma se si partecipa al Wozzeck o al Re Lear, con il cuore semplificato, allo scoperto, e se per fortuna si versano delle lacrime, allora forse sulla terra una donna sarà salvata, un prigioniero sarà liberato – e forse un innocente giustificato, e un dimenticato sarà ricordato”. ( pag. 102).
San Paolo nella “Lettera ai romani” ci ricorda un aspetto importante del perdono: “ Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti”.
Il perdono è difficile perché ci rende taglienti, mettendoci contro di noi: l’incontro con la polvere è il primo vuoto ed è cifra del dolore. In questo vuoto la colpa che vediamo in ognuno può indurci a scappare, a non vedere, oppure è un primo passo verso un bene di cui non sappiamo nulla.

Poesie per un no di Roberto Rossi Testa
Quarta di copertina

Questo libro è stato vissuto e giocato da una distanza ampiamente inferiore a quella di sicurezza. E tuttavia, o proprio a causa di ciò, ne è risultata un’integrazione fra le anime dell’uomo e del poeta tale che forse l’autore non era mai riuscito a raggiungere prima.
Il titolo salta ogni convenevole per indicare il reale argomento dei testi, quel “no” della vita che si fa tanta fatica prima a capire e poi ad accettare. Peraltro, Poesie per un no che cosa davvero significa? Queste sono poesie che nascono dallo sconforto e dal dispetto causati da un diniego o al fine di provocarlo?
Comunque sia, i fatti da cui i testi partono o ai quali pervengono sono sempre i soliti eventi troppo umani. Eppure, continuare a parlarne è l’unico modo che abbiamo di testimoniare su ciò che si svolge sopra le nostre teste, i cui movimenti ne rappresentano la proiezione; e parlarne in poesia è il modo meno indecente di farlo.

Roberto Rossi Testa è nato nel 1956 a Torino dove vive. Traduttore e saggista, ha pubblicato le raccolte di poesie Stanze della mia sposa (1987), Poca luce (2002), Eunoè (2005), Sposa del vento (2007) e la raccolta di racconti Storie di dei e di animali (1995).



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