Preseentato a Cannes 2010 Poetry è un film del coreano Lee Lee Chang-Dong regista premiato nel 2002 alla Mostra del Cinema di Venezia con Oasis. L’attrice protagonista è Yoon Hee-Jeong, amata in Sud Corea e assente dalle scene da quasi 16 anni. Così il regista dice del suo film: “Una storia profonda di una donna anziana in cerca della poesia nella sua vita. Oltre ad essere stata condannata alla malattia dell’Alzheimer, subisce un altro dilemma quando il nipote adolescente, che è sotto la sua cura, è risultato essere uno degli assalitori di una ragazza della sua scuola media che si è suicidata“.
Il regista prosegue affermando che ha voluto utilizzare la poesia e la bellezza in un momento difficile e drammatico come quello che sta vivendo la protagonista.
“In Poetry mi interessava più la sofferenza. Da una parte la protagonista soffre e prova un senso di colpa, dall’altra scrive delle poesie e cerca di vedere la bellezza che c’è intorno a lei. Uno dei temi centrali di questo film è forse il conflitto interiore del personaggio.”
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Al regista è stata posta questa domanda “Che ruolo ha la poesia nel suo film?”
ecco la sua risposta: “La poesia non è solo un genere letterario. E’ piuttosto qualcosa di inafferrabile e invisibile, che non si può quantificare in termini economici. La poesia è il mondo, è la vita e malgrado le cose brutte che ci sono all’esterno, c’è sempre qualcosa di molto bello interiormente.”
***da qui (da un articolo del 20/05/2010 di Aldo Spiniello)
Come è possibile scrivere poesie? Dov’è l’ispirazione? Fuori o dentro? Che la bellezza sia tutt’intorno a me. Verso il sole… Mija (cut) è anziana donna che vive in una piccola città di provincia. Si occupa del nipote adolescente e si guadagna da vivere come donna di servizio. E’ gentile con tutti e un po’ svitata, con la testa fra le nuvole. Il suo sogno segreto è scrivere poesie. Per questo s’iscrive a un corso. E la prima cosa che le suggeriscono è di guardare le cose in “un modo nuovo”. Nonostante gli sforzi, però, Mija non riesce. Anche perché ha improvvisi e strani vuoti di memoria, che non le permettono di focalizzare le parole. Ma i suoi problemi non finiscono qui. Perché scopre che il nipote è coinvolto, insieme ad altri compagni, in un caso di violenza sessuale. Occorre trovare un compromesso con la famiglia della vittima. Servono soldi. Ma come trovarli? Perdere la memoria, forse, è la possibilità di guardare le cose in modo davvero nuovo. E’ la premessa di una ritrovata verginità. Occorre scrollarsi dagli occhi la polvere di anni, liberarsi di quell’abitudine a una sola prospettiva, che non permette di cogliere la ‘quarta dimensione’ del mondo. Una mela è una mela, da qualunque parte la si guardi. Eppure, se non avessimo più consapevolezza di cosa sia una mela, come potremmo descriverla? Come potremmo arrivare a chiamarla? Dovremmo sforzarci di stabilire un paragone con qualcos’altro. Il che è già un modo di tracciare un percorso, di istituire una relazione di senso aldilà dell’accecante evidenza delle cose. Non è certo un paradosso che Mija, pur non avendo più piena padronanza delle parole e del linguaggio, sia l’unica a comporre una poesia, alla fine del corso. Perchè la poesia, cioè l’atto di creazione, è possibile solo a partire da una mancanza, dall’esigenza pressante di porre rimedio a una perdita. La donna domanda continuamente come trovare l’ispirazione per scrivere versi, fino a scoprire che la risposta riposa già nella sua malattia. Per lei è una questione di ‘vita o di morte’. Scrivere diventa l’unico modo di rimanere in contatto con le cose, attraverso il legame di un sentimento che ridisegna le traiettorie dello sguardo. (cut)