Mia suocera è preoccupata. Mia suocera crede che io sia pazzo.
Come faccio a spiegarle che ne ho bisogno?
Come faccio a spiegarle che non lo faccio per restare giovane,
ma per sopravvivere? Io ho bisogno di correre.
Anche oggi, soprattutto oggi, in vacanza. Devo correre anche
se c’è calore. Calore e scirocco. L’aria ha la stessa
consistenza di una coperta bagnata. Io ci corro dentro, nel tardo
pomeriggio di un giorno d’Agosto. Viale Magna
Grecia, Viale Virgilio e finalmente il Lungomare. Il sole è basso e
dal porto mi ferisce la faccia. Io sono contento.
Mia suocera pensa che sia pazzo. Di solito corro in parchi estetici, corro su baluardi ornati di ippocastani.
Qui corro tra le auto, schivo cani randagi e deiezioni e ascolto musica. Una vellutata di musica.
Invece di diversi tipi di pesce io mischio Bach e Led Zeppelin, AC/DC e Negramaro, Depeche Mode
e Pearl Jam. Una vellutata per allenarsi. Ponte girevole e un po’ d’ombra caritatevole, ma il calore non passa.
Una coppietta corre in senso opposto. Saluto come si fa tra runners. Nessuna risposta. Gente cordiale, gente meridionale. Io corro e sudo.
Sudo, ma la mia maglietta è 90% poliestere e 10% elastan, cuciture termosaldate, sudore fuori, fresco sulla pelle.
Ci fosse una maglietta cosi per l’anima la comprerei subito. Fuori il dolore e la rabbia, dentro l’equilibrio.
Io corro anche per questo, io qui corro soprattutto per questo. Il ritmo della mia corsa è regolare, il mio respiro
un po’ meno. Could I be wrong, but since you have been gone you cast the spell, so break it. Corro lungo
la ringhiera e guardo il mare: molte navi ancorate, nessuna vela. Io sono nato in riva a questo mare lenitivo e ho
imparato ad andare a vela su un lago che porta in Svizzera. Veleggio di domenica su un Meteor bianco (Osso
di seppia il nome) con un amico croato/torinese che mia figlia chiama Lupo Lucio. Qui dovrebbe essere pieno
di vele. “Ma c’è poco vento…”. Tutte scuse. Arroganza spartana, ma poi niente addominali, niente coraggio.
Poi noi non siamo discendenti di quelli delle Termopili. Noi discendiamo dai Parteni, i figli delle vergini.
Laicamente, figli di puttana cacciati di casa. Questo posto è stato il loro rifugio. Forzando la mano alla storia
e all’etimologia siamo parenti stretti di Cristo. Va da se che tocca essere messi in croce. Troppi pensieri, mi
viene da ridere. Basta cosi. Corro, devo correre, devo pensare a correre. C’è la maratona di Torino ad Aprile.
Mio padre lavorava alla Fiat, tornò per farmi nascere a Taranto. Io lavoro a Torino ogni mercoledì e giovedì.
Karma circolare. Guardo il mare come quasi trent’anni fa quando ascoltavo le sirene delle navi mercantili e
speravo di andare lontano. Fatto. Il mio ritmo di corsa è aumentato. Il corpo ha ragioni che né la mente né il
cuore conoscono. Scendo verso piazza dell’Orologio ed ora accelero in piano per i prossimi due minuti. Il
colore Paul Newman del mare è lo stesso degli occhi di mia figlia. Colore mare di Settembre al Tramontone.
Penso in codice, pochi iniziati possono capire. Quel colore particolare è un carattere recessivo rivelatosi tra
le risaie, nascosto nel marrone terrone dominante dei miei. Quel colore racconta storie di viaggi violenti e di
incontri-scontri, come in tutti i posti di mare, ma qui di più. Topazi ingravidati di futuro. Ho visto tanti occhi
normanni tra questi vicoli. Molti portati da donne-anfora bellissime, se mute. Qui tutti si sono fermati a far
l’amore. Anche il mio derelitto antenato francese. Chissà da dove arrivava e quante cicatrici aveva addosso.
Poveraccio, aveva deciso di restare dove tutti odiavano i soldati Francesi arrivati come straccioni ai comandi
di un generale-scrittore le cui ossa furono disperse per sfregio. Perché? Ah, les liaisons dangereuses , forse
un altra vittima dell’amore? I'm gonna give you my love Wanna Whole Lotta Love. Un obeso mi grida
qualcosa in dialetto. Vivrà meno di me, probabilmente. Calore marcio, intriso di benzene e interiora di pesce.
Rallento e mi preparo alla salita del Vasto. Even flow, thoughts arrive like butterflies. Di nuovo ponte
girevole, sono stanco. Non mi concentro sul ritmo. Penso troppo, non corro, scappo. Invelenito da freddo
amore. Tutti sono arrivati e si sono fermati qui. E’ colpa della luce. Ho viaggiato per 44.000 chilometri e
non ho mai visto una luce cosi solida, benigna, viva. Io sono andato via. Non potevo non andare. Marchiato
da DNA mobile. Discendo da viaggiatori, appartengo al mare. Sempre uguale, sempre diverso, sempre in
movimento, sempre attraversato da correnti profonde. Non posso stare fermo, corro, viaggio. Villa Peripato,
marciapiedi distrutti all’ombra del muraglione che nasconde poche navi grigie. Conosco persone nate e vissute
sempre nello stesso quartiere. Io (noi) forse sono (siamo) più felice(i). Forse abbiamo vissuto di più. Noi
conosciamo altri giardini. Sappiamo che quello del nostro passato è stato distrutto. Abbiamo semi però.
All I ever wanted, all I ever needed, is here in my arms, words are very unnecessary, they can only harm.
Sono felice di correre qui. In via Fratelli Mellone corro incontro alle auto, poi via Cesare Battisti. Quando arriverò
a casa, mi toglierò la maglietta. Sarà poliestere bollente intriso di scirocco e di pensieri. Mia suocera pensa che sia
pazzo. Forse ha ragione. Si, ha ragione, ma non lo saprà mai. Accelero l’andatura, ora posso, ora devo. Torno a casa,
sto tornando, sto tornando, sto tornando, sto tornando, sto tornando...