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Poltergeist — Demoniache presenze

Creato il 14 giugno 2013 da Audrey2

Poltergeist

Cosa può fare una donzella stanca e nervosa per combattere lo stress e rilassarsi un poco, in attesa di andare a dormire e sognare zombi? Semplice! Spulciare un database di film horror, farsi una bella lista di quelli da godersi nelle ormai vicine notti estive, e poi puntare sul classico che — quando la medesima donzella era mocciosetta — le procurò tutta una serie di microtraumi, almeno uno dei quali sopravvive ancora. Esso.
… Grandi Antichi, quanto odio le bambole con sembianze di clown!

Titolo originale: Poltergeist
Regia: Tobe Hooper
Soggetto: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Steven Spielberg, Michael Grais, Mark Victor
Genere: Horror
Anno: 1982

Su Poltergeist è stato detto di tutto di più, e io sono sicuramente l’ultima in grado di aggiungere qualcosa. Ma Poltergeist è IL film che più di ogni altro sento legato alla mia famiglia. Un po’ in ricordo delle serate di tanti anni fa — quelle in cui madre e padre si sbracavano sul divano, mentre noi figlie per terra, sul tappeto, e si guardava un film o un telefilm. Un po’ perché il sovrannaturale ha sfiorato la mia infanzia e la mia adolescenza proprio grazie ai miei genitori. Che, tra l’altro, mi hanno instradata sulla via della scrittura e dell’amore per horror & Co., salvo poi chiedersi com’è che esultassi alla vista del sangue e sbadigliassi davanti a una storia d’amore.
Perciò, eccomi qui. Amarcord sia!
Tutta colpa del trasloco che stiamo terminando io e mio padre. Nell’imballare le nostre cose, ci siamo resi conto che molte sarebbero dovute finire in discarica: non c’è posto, nella nuova casa. Perlopiù, si trattava di mobili che avevano ormai la mia età, ai quali il genitore era legato a causa del ricordo di mia madre.
Tra le cose in esubero c’erano anche due televisori. Uno dei quali, mio. Siccome ho buttato via senza pietà parecchio vecchiume che il genitore avrebbe conservato a oltranza, figurarsi se avrebbe resistito alla tentazione di “minacciarmi” a proposito del televisore. Minaccia caduta nel vuoto: sono stata una ragazzetta zombizzata dalla TV, ma quella fase è passata quando sono guarita dall’adolescenza.
Adesso sono zombizzata dal pc.
“Se le cose stanno così, allora questo lo sbatto fuori di casa”, disse una sera il genitore dirigendosi alla porta, televisore sotto l’ascella.
E fu lì che questa sequenza sfrecciò nella mia mente come una cometa

PoltergeistEnd

Comincia tutto con un televisore, questo “strumento del demonio”. Quante volte, da bambina, i miei mi hanno minacciata di sequestrarlo! La volta in cui la sacra famiglia riunita guardò questo film, la conclusione fu il pretesto per l’ennesimo pistolotto.
Avessimo almeno avuto una possessione da poltergeist che lo giustificasse!
Io e le mie sorelle provammo a lasciare la TV sintonizzata su un canale locale fino alla fine delle trasmissioni, ma il tentativo venne scoperto e stroncato senza tante cerimonie.
Vabbe’, tanto non avrebbe funzionato: non abitavamo sopra un cimitero profanato, la casa di allora sorge su un torrente interrato. Le uniche infestazioni che abbiamo mai avuto sono state quelle da muffe varie.
Il che mi porta al secondo elemento al centro del film: la casa, appunto. Il “tuo” posto speciale. Qualsiasi cosa succeda, tra le sue mura c’è quell’angolino che ti appartiene, a volte anche a dispetto delle persone con cui lo condividi. Niente dovrebbe poterti fare del male, a casa. In teoria.
La famiglia è il terzo elemento fondamentale. I Freeling: genitori giovani, moglie casalinga, marito in carriera e tre figli. Mi ricordano qualcuno. Genitori giovani, madre casalinga (per un poco), padre in carriera e tre figlie… Giusto cielo, è la mia famiglia!
Nella vita dei Freeling irrompe il sovrannaturale.
Mi ricorda qualcosa, again.  Mio padre fece diverse sedute spiritiche, tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Mia madre, invece, sosteneva di aver avuto esperienze sinistre. Per esempio, raccontava che nel nuovo e più grande appartamento in cui ci trasferimmo dopo la nascita della terza marmocchia, di pomeriggio — mentre era sola e mia sorella dormiva — sentiva risa di bambini. Ogni volta che queste risate riecheggiavano nella casa, mia sorella si svegliava piangendo, mentre lei scopriva impronte insanguinate di mani infantili sui muri. Mai avuto nulla di più concreto di quei racconti, però. Peccato. Avrei dato tutte le mie Barbie per vedere le mie sorelle risucchiate dal ripostiglio. E avrei dato le loro perché ci restassero.

Poltergeist

Già, perché il sovrannaturale travolge la vita dei Freeling in modo raccapricciante, brutale, violento, attraverso uno dei simboli del focolare domestico: quella povera TV che oggi ha perso la prima posizione nella top delle invenzioni di Satana, ma che ogni tanto riesce ancora a scalzare videogames, comics, anime e i romanzi di Stephen King quando si tratta di indicare un facile colpevole che si addossi la responsabilità dei fallimenti di altri.
Quelli del televisore occupano la casa, fanno prove tecniche di possessione spostando sedie e impilandole sul tavolo della cucina, sconvolgendo il povero Steve, mentre la moglie Diane saltella eccitata, raccomandando apertura mentale. Poi, una notte di tempesta, attaccano su due fronti: animano un vecchio albero saggio “che veglia” sui Freeling, e che cerca di risucchiare il piccolo Robbie, e rapiscono Carol Anne — trasformando lo sgabuzzino in un budello che collega la dimensione dei vivi alla loro.
Tutto ciò che è caldo, sicuro, confortevole, familiare, diventa alieno e minaccioso.
Simpatia ai Freeling per l’affetto che dimostrano l’uno per l’altro, per la forza con cui si sostengono e sostengono Carol Anne, persa da qualche parte tra il buio e la luce, in compagnia di esseri che “per lei sono solo altri bambini, ma per noi sono mostri”.
Poi viene fuori che quelli del televisore hanno ragione a essere così fieramente incacchiati.
Il rispetto per i morti e l’edilizia selvaggia sono altri elementi che irrompono.
Carol Anne è smarrita perché sono smarriti i morti, per primi. E lo sono perché sono stati ingannati. E perché sono stati privati della pace: la casa dei Freeling sorge sulle loro ossa. Letteralmente. La società immobiliare per la quale lavora Steve, rappresentata da Mr. Teague, l’ha edificata su un cimitero, del quale ha spostato solo le lapidi, lasciando i corpi.
Quanto è da fermo immagine e sghignazzamento godurioso, la faccia di Teague davanti alla casa dei Freeling che viene distrutta dalla rabbia dei morti?
Per risolvere la situazione, uno stravolto Steve si rivolge a un team di parapsicologi. E a questo punto entra in scena il mio personaggio preferito: Tangina Barrons, la medium formato tascabile interpretata dalla fenomenale Zelda Rubinstein. Ormai conosco il film a memoria, si può dire che se lo guardo e lo riguardo è principalmente per lei. Poltergeist fu il suo trampolino di lancio e Zelda — bizzarra, compassionevole e civettuola — rese quel suo piccolo ruolo memorabile. Un mito.

[FONTE:  Patron Saint of the Denial]

[FONTE: Patron Saint of the Denial]

Tangina Barrons vince una battaglia, però. Non la guerra.
In una delle scene più simboliche del film, Carol Anne e la madre Diane — entrata nell’interregno dei morti per riprendersi sua figlia — vengono restituite alla vita imbrattate di una sostanza rossastra che ricorda i rimasugli di una placenta, come se nascessero una seconda volta, in seno alla casa — che torna a essere un rifugio accogliente. “Questa casa è libera”, dichiara Tangina, per cui tutto sembra sia tornato come prima. Solo che i morti sono tenaci. Oltre che un poco ripetitivi.
Di nuovo di notte, di nuovo un attacco su due fronti. Diane fa il giro della sua camera da letto, rotolando di parente in soffitto. Mentre Robbie, ancora una volta, vede concretizzarsi uno dei suoi incubi: prima era l’albero, adesso è il clown.

MaleficoClown

Una manciata di anni prima che vedessi Poltergeist — ero appena entrata in prima elementare — mia madre mi aveva imposto un “regalo”: un clown con la faccia di plastica sorridente e lunghe braccia e gambe di stoffa. Era orribile, tentai di rifiutarlo. Mi costrinse a giocarci un pomeriggio intero. Poi, dopo che mi rimboccò le coperte, lo piazzò sulla cassa dei giochi ai piedi del mio letto, in modo che mi guardassePassai non so quanto tempo immobile, nel buio, aspettando di sentire da un momento all’altro quelle braccia e quelle gambe stringersi intorno al mio collo. La cosa andò avanti per diverse notti, finché il clown scomparve e io tornai a fare a pezzi le mie Barbie senza più incubi.
La scena in cui il clown aggredisce Robbie, trascinandolo sotto il letto, fece riesplodere il trauma. In un istante, ricordai il mio tormentatore.
Ancora oggi quella sequenza non manca mai di mettermi un filino a disagio.
Invece trovo strepitoso quella specie di esofago palpitante a cui Diane deve sottrarre i suoi figli, dopo una corsa disperata in un corridoio che si allunga all’infinito: sono pochi minuti che tolgono davvero il fiato.
La lotta di questa madre è qualcosa che mi fa stringere la gola. È proprio una cosa fisica: quel corridoio che si allunga mi mette ansia. E poi lo spettro che la scaraventa giù dalle scale, gli scheletri che vengono a galla nella piscina, il fango che la fa scivolare di continuo in acqua, tra i morti…
A proposito, pare che quegli scheletri fossero veri. E dire che mi sono sempre sembrati una delle cose più finte che avessi mai visto.

Poltergeist-Scheletri

Prima di chiudere, un’ultima considerazione: se questo film è uno degli horror più suggestivi della storia del cinema è anche merito della colonna sonora scritta da Jerry Goldsmith; di quel motivetto infantile da carillion che torna come un ritornello nel mezzo di melodie inquietanti e spettrali, e che ispira dolcezza, e segna il passo con i contrasti del ritmo del film in cui, da un momento all’altro, si grida di terrore durante le manifestazioni spettrali e si piange di commozione per la voce di Carol Anne o per il suo profumo.



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