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"Portami un cuscino e una coperta Qui li hanno finiti"

Da Astonvilla

Guarda che Teresa non ha il cuscino, se vieni a trovarla portalo, e anche una coperta. Mi hanno detto che ne avevano ancora tre, ma poi più niente. Sì, sì me lo hanno detto le infermiere». Maria Grazia Golinelli è una piccola signora sorridente che avrà poco più di sessant’anni e un’amica che è ricoverata in pronto soccorso al Martini, ma di anni ne ha ottanta. Ieri pomeriggio fuori dal Dea di via Tofane Maria Grazia era al telefono, poi ha raccontato: «Ho visto la mia amica che aveva la testa su una parte del letto dura, le dava fastidio, ho chiesto un cuscino ma non ne avevano più...». Maria Grazia si occupa dell’amica, le fa coraggio e le chiama il medico quando serve, e ieri ha temuto il peggio così ha chiamato il 118.
Le immagini da Roma
Al Pronto Soccorso del Martini, alle 16 di ieri, sembrava irriverente quel televisore acceso su «Pomeriggio cinque» dove il senatore Ignazio Marino raccontava i disastri degli ospedali romani. «Lo vede, noi siamo mica messi tanto meglio sa?» Antonio e Caterina ieri indicavano la tv, e poi: «Siamo qui dalle dieci di questa mattina - diceva Antonio - abbiamo portato mio suocero che è cardiopatico, si è raffreddato ha ottant’anni e siamo preoccupati. Ma nessuno ci dice niente». Maria Grazia intanto spiega che di là, cioè al di là della porta che divide la sala d’attesa dal settore visite «ci sono tutti letti occupati, e barelle dappertutto. I medici sono pochi e le infermiere fanno quello che possono. Ho visto anche un corridoio pieno di barelle». La comprensione o la rassegnazione spesso sono i migliori amici in situazioni come queste. «Però dovrebbero dirci qualcosa - protesta Caterina - sono dovuta entrare io per chiedere di mio padre». Il problema è proprio la comunicazione «E’ il difetto dei reparti di emergenza, su quello dobbiamo lavorare, ma non solo noi, in tutt’Italia» aveva detto Paolo Mussano direttore sanitario del Maria Vittoria qualche settimana fa dopo le lettere di protesta a Specchio dei Tempi. «Nessuno mi dice niente di mio marito. Siamo arrivati qui a mezzogiorno e nessuno mi dice come sta. Ho chiesto i suoi esami che saremmo andati dal medico di famiglia. Anche lui è dottore no, ci saprà capire qualcosa?». Elena è giovane e preoccupata sono le cinque e mezzo e non sa ancora nulla del marito, l’ha visto per qualche minuto: «Prima su una barella con una flebo, poi sono riuscita ad entrare ancora una volta e stava su una sedia. Ma se mi danno gli esami io lo porto a casa, almeno lì sta sul letto».
Il bambino
Piero ha solo due mesi, in braccio a suo padre dorme, mentre la mamma aspetta da tre ore di essere visitata: «L’abbiamo portato con noi perché prende ancora i latte. E qui non si sa mai a che ora si finisce». L’attesa che sembra infinita sono anche quelle porte che oppongono malati «contro» medici e infermieri, forse basterebbe che qualcuno al di là delle porte le attraversasse per spiegare. «Se ci dicono perché stiamo qui tante ore noi possiamo capire. Se ci spiegano non saremmo così in ansia» Mario racconta di Angela: «Le hanno portato la madre alle Molinette senza dirle nulla. Perché non l’hanno avvertita?». «Sa che le dico? Se non stiamo attenti finiremo come la Grecia» Marino ha 64 anni e si definisce un «pensionato contento, fortunato» sua moglie Mariangela di anni ne ha 59, e tanta pazienza: «Non è colpa dei medici se non ci sono i letti. Come possono fare? Sono tutti questi tagli. Come farete voi giovani tra qualche anno?». Già.
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