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C'è come una patina, in Potiche - La bella statuina, una confezione che fa credere prima al dispositivo e poi alle battute: si ride perché ci sono la cornice kitsch e camp, si accettano le battute intelligenti e quelle sceme in nome di un filtro riconoscibile e accettato (quello del vintage, della distanza, della disillusione cinina). La risata, insomma, non è spontanea, nasce dalla paura e dal dubbio che, ingolfati come siamo di stimoli visivi, proviamo di fronte a qualsiasi immagine.
Dall'alto di un'iconografica gay ormai prassi comune, Ozon esalta la figura della Deneuve, non le chiede nemmeno di recitare ma semplicemente di richiamare su di sé un effetto di riconoscimento dello spettatore, attraverso la sua figura impone un modello di femminilità materna, comprensiva, borghesemente aggressiva che non ha nulla di ironico.
Non è un caso che nel seconda parte del film, una volta conquistato lo spettatore, Ozon cominci a buttare lì idee e riferimenti che così kitch o volutamente stupidi non sono. Tipo che i ricchi possono governare un paese o che se uno migliora le sorti di un'azienda non che farlo anche con uno Stato. Ricorda niente, tutto ciò?
Certo, uno potrebbe dire: c'è il filtro vintage che giustifica tutto. Ma allora perché non far trionfare il capitalista reazionario e maschilista? Oggi sono poi così diversi gli imprenditori dotati di potere? Non è che forse Ozon vuole per davvero mettere in scena una palingenesi della società attraverso lo sforzo individuale? Il cuore è con la protagonista, certo, ma non è che forse in Potiche - La bella statuina la risata funziona da fumo negli occhi? Per me resta un film godibilissio, ma pure un po' pericoloso.
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