L’articolo 13/4/2015 di Cosimo Perrotta
Globalization and the Critique of Political Economy
Il dualismo economico indica la convivenza di due sistemi con livelli di sviluppo e di produttività molto diversi tra loro, che hanno rapporti consolidati di scambio e di spostamento di risorse. In genere questo concetto si fa risalire agli economisti dello sviluppo, del periodo 1940-80, i quali dimostrarono che lo sviluppo non si diffonde armonicamente (come i neo-liberisti hanno sempre creduto e tuttora credono). Esso invece crea dislivelli e ineguaglianze che, una volta radicati, generano il dualismo.
Pochi ricordano che probabilmente fu Marx ad analizzare per primo il dualismo, anche se non usò mai questa espressione. Lo dimostra Lucia Pradella lungo tutto il suo libro, attraverso una dettagliata analisi dei testi, anche inediti, del grande economista.[1]
Gli economisti dello sviluppo non conoscevano queste analisi di Marx, e tendevano a credere che il dualismo fosse dovuto soprattutto ad un fattore soggettivo: la volontà degli occidentali di approfittare della loro maggior forza. L’economia mondiale iniziava appena allora ad uscire dal colonialismo, e la loro visione era comprensibile. In particolare, Singer sottolineò che c’era un deprezzamento secolare delle esportazioni dei paesi poveri nel commercio internazionale, che rendeva impossibile lo sviluppo di queste aree. Prebisch spiegò il fenomeno così: quando i salari dei paesi ricchi crescono, l’aumento dei costi non va a danno dei profitti di quei paesi (come sarebbe logico aspettarsi), ma viene compensato dall’aumento dei prezzi delle esportazioni verso i paesi poveri. A sua volta questo aumento dei prezzi, per non comprimere i profitti degli importatori, grava sui salari dei paesi poveri, che diminuiscono. Sono quindi i salariati di questi paesi a pagare il benessere dei paesi ricchi.[2]
Pradella non esamina gli economisti dello sviluppo, tuttavia mostra che Marx vedeva il dualismo in un altro modo. La tesi centrale del suo libro è che il dualismo, per Marx, è il frutto inevitabile dell’espansione capitalistica in quanto tale. In questa visione, il dualismo deriva da processi oggettivi, anche se ad essi si aggiunge tuttora l’iper-sfruttamento soggettivo dei paesi poveri da parte dell’Occidente. In particolare, spiega Marx, la maggiore produttività dei paesi ricchi fa sì che il costo dei loro prodotti diminuisca di continuo. Essi possono quindi esportare i loro beni al prezzo del mercato internazionale, ricavandone un margine di profitto più alto. Per i paesi arretrati, che producono a costi alti, avviene l’opposto: le loro esportazioni, avendo un costo superiore a quello del mercato internazionale, sono sfavorite. E’ merito di Pradella aver sottolineato con forza questo analisi di Marx.[3]
E’ quindi la diversa produttività la causa prima del dualismo e del suo carattere duraturo. Gli stessi economisti dello sviluppo ebbero una certa consapevolezza di questo, quando spiegarono l’esistenza di un meccanismo stabile di dipendenza delle economie deboli da quelle forti (Furtado),[4] o quando analizzarono i processi cumulativi, in cui i fattori negativi si rafforzano a vicenda trascinando l’economia povera verso il basso (Myrdal).[5] Infine Perroux – ripetendo inconsapevolmente l’analisi di Marx sulla concentrazione delle ricchezze – spiegò che lo sviluppo tende naturalmente a concentrarsi nelle aree più favorite.[6]
Sottolineare la natura oggettiva di questi processi permette di evitare le fuorvianti accuse reciproche, tra paesi avanzati e arretrati, di essere responsabili delle disuguaglianze. Bisogna avere una visione equilibrata del problema. Sono false le analisi neo-liberiste secondo cui, ad esempio, la povertà dell’Africa sarebbe dovuta all’assistenzialismo e alla passività che esso genera, dimenticando la terribile rapina e distruzione di risorse naturali e di capitale umano che continua da molti secoli in quel continente. Ma è sbagliata anche la posizione, presente ad esempio in alcuni stati meridionali dell’Unione Europea, di chi lamenta lo sfruttamento del proprio paese da parte della UE ma trascura i parassitismi interni che succhiano la ricchezza del paese: privilegi e rendite, corruzione, evasione o indebita esenzione fiscale.
[1] Pradella, Globalisation and the Critique of Political Economy. New insights from Marx’s writings, Routledge 2015.
[2] Hans Singer, “The distribution of gains between investing and borrowing countries”, American
Economic Rev., 40/2, 1950. Raúl Prebisch, El desarrollo económico de la América Latina …(1950), in Desarrollo económico, 1986, n. 103.
[3] Vedi in particolare il par. 5.7.
[4] Celso Furtado Desenvolvimiento e subdesenvolvimiento (1961), in F. Teoria dello sviluppo economico, Bari: Laterza,1972.
[5] Gunnar Myrdal, Teoria economica e paesi sottosviluppati (1957), Milano: Feltrinelli, 1966.
[6] François Perroux L’economia del XX secolo (1948-59), Milano: Comunità, 1966.