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PREFAZIONE a VESTALI di Valeria Serofilli

Da Lindapinta

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

Prefazione

Una raccolta elegante che ha la pretesa di significare e interpretare l’Amore come mero fulcro dell’anima, l’unico sentimento che ci può restituire tutto, o almeno in parte, quel grande bisogno interiore di sentirsi doppio, con l’altra metà del cielo.

La poetessa Valeria Serofilli sembra approfittare di una vacanza in Grecia per sfoderare tutta la sua potenza immaginifica, il suo sirtaki, la sua voglia di donarsi al caldo grecale dell’isola incantevole, esorcizzando l’apoteosi dei sensi, alla dolce e stringente realtà di un idilliaco sentimento che la prende fino in fondo all’anima.

La raffigurazione poetica è di grande impatto, i sensi sono allertati e desiderosi di una danza duale, di un incontro alla luce abbagliante, ai venti prorompenti dentro un’atmosfera che sembra rubarle emozioni forti, carichi di quell’ardore che le fa dire:

Tutti gli incensi/ dall’ambra al muschio selvatico

non valgono una stilla / del profumo della tua pelle

dopo l’amore

mentre intesso tasselli musivi sul tuo corpo:

ogni tassello un ricordo/.../ “

Così come una nuova Vestale, la Serofilli ama avvolgersi in pepli di nostalgia e di abbandoni, utilizzando schemi fonetici e simbolici di grande impatto emotivo:

Quale più annichilente vertigine a stordirmi

e rinsavire?”

Per poi ancora ritornare alla memoria, al richiamo dolcissimo e suadente di una magia amorosa:

All’amore, al fuoco di passione

non chiedo verità

tra il limite del sogno e recriminazione...

in altri versi la poetessa raggiunge l’acme dei sensi in un trascorrimento emozionale che entra  di prepotenza nelle sue viscere, nel suo sangue:

Sul tuo corpo tracce

del nostro amplesso/ miste ad altri odori

di cui non mi spiego il senso...

Sono un oggetto del desiderio, una passione inestinguibile quelli che paiono attraversare le figure retoriche di queste composizioni liriche, per attestarsi a pura e semplice personificazione dell’oggetto amoroso. Una forte vibrazione che risveglia l’anima dal torpore, facendole gustare il miele della frenesia, in moti d’anima percettibili: 

Vendemmia di pelle/ occhi negli occhi.

Se è tutto inganno

inganno sia

perché è questo

il più dolce annegamento.

E continua la sua folle odissea, come Penelope tesse la sua tela, invano, ella si fa magma e fuoco, nelle vene, scorre quel fluido che non dà requie, che mostra la sua emozione in continui assalti e saltuarie epifanie:

All’amore, al fuoco di passione

non chiedo verità

tra il limite del sogno e recriminazione

e trascrive parole di fuoco alla sua pagina appassionata e vibratile, presta l’orecchio alle sibille, come sirene che incantarono Ulisse, ella si appropria dell’immagine letteraria per sovvertire il suo irrazionale afflato cosmico che entra prepotente nel suo rapporto amorevole; lo tramuta spesso in vortice, in abisso, in foresta, in fiore, in albero, lo nutre dell’humus del sogno, in desiderio, in carne che fanno la differenza, mentre si scioglie in lei, la fatica dell’amplesso, che malgrado conceda paradisi inimmaginabili, crea anche abissi di perdizione senza scampo:

E la sete, la pazzia/ la cieca corsa verso il mare aperto

smarrendo il mio sguardo/ oltre la soglia dell’amore.

La poetessa sa che vi è un punto di non ritorno, un transfert che ingenera la follia di ogni trasformazione, forse di ogni abbandono e non può rassegnarsi, lo descrive come un indicibile arrendevole volo, qualcosa che procede a rilento nell’estinguersi, perché ormai è penetrato nelle vene e nel sangue, lasciando spasmi e sofferenze, graffi e contusioni: l’amore dà, l’amore toglie, perciò pronuncia questi versi con pacata rassegnazione, li scandisce attraverso il singulto, il respiro e il canto; come un sogno che sa trasmettere realtà inintelligibili, ella si appresta forse alla fine, forse ad un nuovo addio con evidente sofferenza:

Itaca per me/ è il tuo risveglio

quella frazione di luce, sul tuo volto

la rugiada mattutina, sul tuo petto

il tubare delle tortore, sul cornicione

per il buongiorno

mentre felice dicevo -sono tornate-  (Le tortore sono tornate al cornicione

Questa simbiotica fusione si avvicina ad una sorta di mito che persegue le coordinate dello slancio amoroso, ne marca fortemente i simboli. Vi è una metaforicità che di frequente si abbandona all’azzardo e all’inquietudine di una forza epifanica di resurrezione. La Serofilli, sa misurare l’aspirazione della memoria ad estendersi alla precarietà dello spazio temporale.

In questa raccolta l’empatia entra in gioco prepotentemente, descrivendo tempi e luoghi, intervalli e soste. Tutto evoca un vagheggiamento, una visione onirica che si propaga e dà compattezza alla raccolta, la coagula dentro un presentire amoroso straordinariamente vivo, eppure fragile.

L’idillio è palpabile, crea atmosfere e sperdimenti fisici; l’input emotivo vi entra in sintonia, ma cerca anche una via di fuga. L’anima tenta l’imperturbabilità ma è suo massimo delirante approdo. Una sorta di prodromo dileggio verso quei rari momenti di abbandono è d’obbligo, per ritemprare energie, misurare il turbamento. La poetessa carica di vitalità e di intrecci semantici anche le più piccole antonomìe con impulsi ed estensioni che ne rafforzano valenza e vitalità, raggiungendo per così dire la Bellezza della forma, entro la panica esplosione delle sue configurazioni verbali, che infine ne danno pienezza di esiti tra i più felici e realizzati.

Milano 6 dicembre 2014   Ninnj Di Stefano Busà


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