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Per fortuna, come si può vedere, ho scelto un liceo classico e abbandonato quell'idea balzana. Anche perché, nel frattempo, ho scoperto che la diplomazia era proprio la più irraggiungibile delle virtù, per come sono fatta.
L'unica volta che mia madre ha fatto un complimento a me come persona (e non ai risultati che ho raggiunto, ai voti che ho preso e ai bambini che ho concepito), mi ha detto che sono leale. Intendeva soprattutto nei confronti dei miei amici, perché con un genitore prima dei 25 anni non ti puoi sempre permettere il lusso della trasparenza, altrimenti rischi di non crescere.
Ecco, di me si possono dire con ragione tante cose negative, ma chi mi taccia di slealtà o scorrettezza (non sono mai stati tanti, in verità) sbaglia bersaglio. Mentre quando si toccano altri tasti un esame di coscienza me lo faccio (con risultati alterni), quando l'accusa è di non essere stata corretta resto serena, perché questo è l'unico punto su cui mi sento sicura: magari sbaglio (eccome se sbaglio), ma sempre in buona fede e con la consapevolezza di aver agito nel modo più corretto nei confronti degli altri, con particolare attenzione alle persone che mi sono più care.
Dal momento che sono figlia unica, gli amici sono sempre stati molto importanti per me: sono fratelli e sorelle d'elezione, hanno la mia massima disponibilità. Anche ora che ho una famiglia, sono sempre pronta a scattare se un amico chiama nel momento del bisogno.
Questo fa sì che, nei confronti degli amici, io abbia un atteggiamento simile a quello dei più verso la famiglia: davanti al resto del mondo li difendo a spada tratta e faccio il possibile per sostenerli, in privato sono schietta al punto di essere dura. Se un amico persiste nel fare qualcosa che ritengo sbagliato, continuo a difenderlo davanti al resto del mondo, ma in privato, una volta esposta la mia posizione, non dico più nulla: da noi si dice "Disi nient ma coesi" (Non dico niente ma friggo).
Un altro aspetto del mio modo di vedere l'amicizia è che, se un amico mi delude (non in modo casuale: a tutti capita di sbagliare), chiudo a chiave la porta e butto la chiave. Questo non significa che io quell'amico non lo voglia più vedere o non gli voglia più parlare, ma che la mia disponibilità per lui è esaurita, non sono disposta a sforzarmi neanche un minimo. E la porta si chiude senza grandi clamori, spesso l'amico in questione non se ne accorge per anni, finché non ha bisogno, e allora la trova chiusa.
Che cosa c'entra tutto questo con la diplomazia? Ecco, se fossimo in un mondo ideale, c'entrerebbe poco: la diplomazia dovrebbe essere l'arte di far vedere ai contendenti le ragioni reciproche, in modo da pacificarli.
Dal momento che non siamo in un mondo ideale, in realtà spesso diplomazia significa dover mantenere buoni rapporti con persone che ti disgustano, dare ragione a chi è più aggressivo e/o potente per cercare di placarlo, usare con sapienza bastone e carota per far tutti contenti.
Ecco, io questo lo posso tollerare sul lavoro. Nella vita, se posso, faccio a meno.
Quindi, se tu sei una persona che ha ferito o danneggiato un mio amico (e io so che l'hai fatto con intenzione e magari pure in cattiva fede), ti saluterò con grandi sorrisi se devo, ma eviterò in ogni modo di contribuire al successo della tua iniziativa. Viceversa, se un mio amico o una persona che stimo mette in piedi qualcosa di buono e io posso aiutarlo, parteciperò, a costo di espormi alle critiche di altri per aver preso una posizione così netta. Anzi, son capace pure di sentirmi in colpa se per motivi oggettivi non posso partecipare.
Non ce la faccio proprio ad essere liquida e neutrale, a farmi rimbalzare le cose addosso. Anche quando dovrei, anche quando non posso fare niente per cambiare le cose e anzi rischio di peggiorarle. Il massimo che posso fare è una doccia fredda prima di esporre la mia posizione, ma non posso evitare di prenderla e comunicarla.
Ecco perché non so se andare ai prossimi colloqui con le maestre o mandarci Luca.
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