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Presa diretta: dai call center alla rete di imprese

Creato il 20 marzo 2013 da Funicelli
Nella seconda parte della puntata di domenica, incentrata sulla controriforma del lavoro (chiamata legge Fornero), Presa diretta ha mostrato il peggio e il meglio del mondo del lavoro in Italia.
La protesta delle lavoratrici del call center Almaviva di Roma, mandate in mobilità perché improduttive: l'azienda manda a casa da una parte e assume persone in Calabria, a Cosenza.
Perché può assumerle con un contratto di livello inferiore.
Parliamo di stipendi da 600 euro che, nel sud del paese, arrivano a 200-300 euro.
In Calabria, a Cosenza, ma anche a Catanzano, la giornalista di Presa diretta assieme al sindacalista della CGIL ha potuto parlare con i ragazzi tirocinanti, che aspirano ad un contratto "regolare" dentro i call center. Che però, durante il tirocinio non sono pagati.
Call center che spuntano negli scantinati, nei garage, che lavorano in subappalto per altre società più grosse.
Gli utili li fanno solo le grandi società che, in questa maniera, riescono a spuntare prezzi più bassi per i servizi in outsourcing dei contact center.
Prezzi più bassi che significano profitti più alti, bonus per i manager: ma che si scaricano in stipendi più bassi per chi lavora al telefono, l'ultima ruota del carro.
La Bangalore d'Italia è chiamata, la zona di Catanzaro: 5000 persone impiegate in questo settore, sfruttate, sarebbe meglio dire.
Perché 250-300 euro di stipendio non si possono definire in altra maniera.
Ci sono poi aziende, come la Phonemedia che, dopo aver preso dalla regione Calabria, gli incentivi per assumere al sud, ha poi chiuso l'attività quando gli incentivi sono terminati.
Phonemedia è ora fallita, il suo amministratore si occupa ora di energie rinnovabili: le persone che lavoravano nella sua società, senza stipendio, aspettano dalla regione ancora i soldi della mobilità.
Venivano pagate con un contratto a gettone, "a prestazione", in base alle telefonate fatte.
Tutto regolare: il punto è proprio questo. I contratti sono quelli stabiliti per legge, e in ogni caso basta non fare controlli sulle condizioni di lavoro.
Le regioni forse non controllano come sono usati i soldi degli incentivi.
Ma queste situazione si sfruttamento non sono solo al sud: Presa diretta è andata ad intervistare alcuni studenti di Rimini che, nella stagione estiva, sono impiegati in bar, alberghi, strutture turstiche.
Senza giorno di riposo, con alcune ore pagate in nero: tutti gli alberghi fanno così e quando ci sono i controlli basta dire il falso.
A tutti fa comodo avere tutta questa manodopera disposta a lavorare gratis o quasi.
Altro che legge Fornero che rende più semplice la flessibilità in uscita: qui servirebbero i controlli degli ispettori.
Cosa dicono gli imprenditori? Il giuslavorista Falasca ha espresso di fronte alle telecamere tutti i suoi dubbi su questa riforma, definita inutile e dannosa.
Sul lavoro a progetto, mette delle tutele come se volesse equipararlo al contratto a tempo indeterminato: "o lo leviamo o lo teniamo come lavoro autonomo".
Le partite Iva, come specie contrattuale, sono difficili da spiegare agli stranieri.
Servono più ispezioni e basta, non altre leggi: in questi anni non si sono fatte politiche sul lavoro (e nemmeno politiche industriali, tra l'altro), ma solo leggi sul lavoro.
La riforma Biagi, la riforma Fornero.
Sono leggi che complicano il sistema, ingolfandolo.
La pausa tra un contratto e l'altro ha portato all'effetto porte girevoli: le aziende preferiscono prendersi un'altra persone durante la pausa di 3 mesi. Questa modifica non era stata richiesta dalle imprese: il punto, ha spiegato Falasca, è che la legge Fornero è pensata alle grandi imprese, e non a quelle piccole.
Per far ripartire il lavoro servono investimenti in formazione, per formare professionalmente le persone (non per sfruttare il lavoro pagandole il meno possibile).
Mi chiedo se i professori e politici che fanno le leggi sono a conoscenza di come lavorano le piccole e medie imprese, delle loro esigenze, dei loro problemi?
L'accesso al credito, la burocrazia dello stato, la difficoltà nell'ottenere finanziamenti per poter realizzare le loro idee.
Le pressioni della criminalità organizzata e la corruzione.
Meno burocrazia e più legalità: altro che revisione dell'articolo 18.
Le imprese in rete: il miracolo della RACEBO .
In Emilia Romagna 12 aziende del settore metalmeccanico si sono messe in rete per creare una struttura industriale innovativa (chissà se Monti e Fornero ne hanno mai sentito parlare?): hanno messo in comune il portafoglio, le competenze, per creare una catena del lavoro più ampia possibile.
Ciascuna azienda si occupa di una parte del lavoro: la verniciatura, la pressatura, la produzione. Lavorando in rete si riesce ad ottimizzare la gestione del trasporto merci, lo sfruttamento dei macchinari, la negoziazione coi fornitori.
Mettendosi assieme, queste 12 aziende non solo sono riuscite a salvarsi dalla crisi, raddoppiare il fatturato, assumere persone (senza chiedere alla politica licenziamenti più facili). Sono riusciti a spuntare prezzi più bassi per l'energia, avere una leva più forte con le banche.
E' bastato passare ad una nuova mentalità, quella del lavoro in squadra: niente cda da pagare a prezzo d'oro, niente presidenti e amministratori.
Solo aziende che si mettono assieme, per fare impresa assieme, non solo per fare profitto per il profitto.
Da qui si parte, dalla passione per il proprio lavoro: questo chiedono i veri imprenditori. 

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