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Quale è il futuro delle aziende Fiat in Italia? Per capirlo, Presadiretta è andata dentro glistabilimento di Pomigliano e Melfi, a Detroit dentro alla FiatChrysler per finire poi a Mirafiori, quello che una volta era il cuore della Fabbrica Italiana auto Torino e che oggi è solo uno stabilimento che va spegnendosi.
Dopo l'intervista al corriere dell'amministratore Marchionne, in molti si sono preoccupati per le sue parole: se non funzionassero le esportazioni, il senso della risposta a Mucchetti, dovremmo ritirarci da due siti su cinque. È questo il destino della nuova Fiat globale, un destino legato più ai mercati nel mondo (specie in nord America) che non a quanto succede in Italia. Eppure Marchionne dal'Italia ha ottenuto tutto quello che voleva, nelle sue battaglie contro la Fiom, a cominciare dalreferendum di Pomigliano. Dopo il voto, erano in pochi tra gli operai a voler commentare col giornalista: paura per il posto, paura di ritornare alla cassa integrazione o peggio. Dopo 1 anno e mezzo, la Fiat ha aperto le porte al nuovo stabilimento della FIP alla stampa, per la presentazione della nuova Panda: dopo 3 anni di cassa integrazione (a 800 euro circa), qui sono stati investiti 800 ml. Il nuovo contratto è stato firmato da tutte le sigle esclusa la Fiom, che è rimasta fuori dai cancelli: un contratto che prevede più straordinari, meno pause, più sanzioni per casi di assenteismo. Queste sarebbero state le condizioni di Marchionne per rimanere in Italia.
Ma nonostante questo, non tutti gli ex di Pomigliano sono stati assunti nella nuova fabbrica e, in ogni caso, l'AD non è nemmeno disposto più a discutere (neanche con i giornalisti) sull'art 19 dello Statuto, per far rientrare la Fiom (che prima era il sindacato più rappresentativo). “Noi facciamo le vetture” dice ai giornalisti.
Ma ora la Fiat farà più investimenti in Italia? Del nuovo piano non se ne parla col governo, non se ne parla coi giornalisti: è un piano top secret. L'unica cosa certa è la produzione di 1050 vetture al giorno, con l'assunzione di tutti gli operai che servono (non di tutti i 2500 operai della vecchia fabbrica).
Le presunte discriminazioni con la Fiom. In che modo sono state assunte le nuove persone? Dei 1800 assunti, nessuno sarebbe iscritto alla Fiom, dicono i sindacalisti rimasti fuori la Fip: molti, dopo il referendum hanno rinunciato alla tessera, ma al giornalista di Presadiretta, ieri sera hanno raccontato diverse storie che, se verificate, sarebbero dei veri e propri casi di discriminazione (contro l'articolo 3 della Costituzione).
Carmela, madre separata di 3 bambini, rimasta in Cassa integrazione: l'assistente sociale della Fiat le avrebbe detto che la sua iscrizione alla Fiom “non l'aiuta per niente” ad essere assunta. E ci sono anche altre storie: persone che vanno a fare formazione alla linea ma che in realtà vanno a lavorare gratis, senza tutele per infortuni e malattie.
Fiat non fa concessioni alla Fiom: nemmeno a Melfi, dove i tre operai licenziati con l'accusa di aver sabotato la linea, nonostante la vittoria in appello, non possono tornare a lavorare. L'Espresso ha riportato una registrazione tra un caporeparto a Melfi (Perrini) e un altro collega (Forgione), che si lamentava dell'incarico che gli era stato affidato. La sua colpa è l'essere stato amico di Barozzino e pure iscritti alla Fiom. Se la UILM non si dimostra preoccupata di queste storie, cosa risponde l'azienda ?
Paulo Rebaudengo, direttore delle relazioni industriali, intervistato da Lisa Iotti si è dimostrato molto tranquillo: le assunzioni a Pomigliano non sarebbero state fatte secondo le iscrizioni ai sindacati. La signora Carmela e le sue accuse ? Noi non possiamo rispondere a tutte le falsità scritte sui giornali (caso Formigli a parte). “In Italia ci sono altri sindacati rispetto alla Fiom”: e in effetti le altre sigle, ma nemmeno i partiti o gli amministratori locali hanno mai posto questioni, fatto obiezioni alla Fiat. La telefonata Perrino Forgione? Una questione personale tra loro due. La sentenza di appello a Melfi? Non è previsto dalla legge che la Fiat debba tenere in fabbrica persone che non godono più della sua fiducia.
La Fiat è allora sicura, consapevole della sua forza, anche nei tribunali. Ma quale è il futuro in Italia? Ilprofessore Giuseppe Berta nel suo ultimo libro proprio sulla Fiat, lo spiega bene: la sua nuova dimensione è quella globale, non più quella di una fabbrica che si identifica con il paese (come ai tempi degli Agnelli). Ora Marchionne si è concentrato sugli USA, sulla Chrysler, salvata grazie alla volontà del presidente Obama, ai suoi aiuti, ai sacrifici dei sindacati. Al termine di questa ristrutturazione, il privilegio italiano in Fiat. Che tradotto, significa sempre meno addetti nel settore auto in Italia: già ora a Pomigliano lavorano 900 persone, per produrre 650/700 auto al giorno, e l'azienda già parla di battuta d'arresto nelle assunzioni.
La Fiat Chrysler a Detroit. Ma per capire meglio il futuro di questa azienda, Giovanna Botteri è andata a Detroit, perchè qui si gioca la partita vera. Negli anni 50 era la capitale dell'auto, per la presenza degli stabilimenti di Ford, GM e Chrysler: ora invece, viaggiando nei quartieri della città si vedono scheletri di aziende fallite (la Packard), quartieri con case bruciate o vuote. Qui si è assistito alla più grande perdita di popolazione, con la crisi industriale: - 60% , da 2 milioni a 700000. Qui il sindacato UAW rappresentava la classe media degli operai dell'auto: ma dopo la crisi del 2009, col rischio del fallimento ha dovuto accettare molti sacrifici, col nuovo contratto Fiat Chrysler. Per la prima volta i lavoratori erano divisi in due categorie: i vecchi e i nuovi. Per salvare l'azienda, con l'ingresso dei capitali pubblici e l'ingresso di Marchionne, si sono accettati turni da 40-50 ore, lavorare di notte, con straordinari richiesti solo all'ultimo momento, paghe inferiori, meno tutele, perdita del diritto alla pensione (l'azienda mette qualcosa nel fondo pensione).
Si vive un clima pesante, anche per le pressioni dell'azienda: “un brutto lavoro è sempre meglio del non lavoro”, dicono. Refrain che sta diventando comune anche qui da noi. C'è da essere poco ottimisti per il futuro: dopo la crisi, è come se un pezzo di terzo mondo fosse arrivato qui nella ex città industriale.
E che succederà allora a Torino? Alla Mirafiori lo stabilimento è quasi fermo, si lavora a singhiozzo, su modello a fine ciclo (e non sui nuovi modelli), al 30-40% delle possibilità. Si viene chiamati per lavorare via sms, anche solo per un giorno. Il giornalista di Repubblica Paolo Gliseri sostiene che sarà proprio Mirafiori uno degli stabilimenti da sacrificare. Perchè una volta che si sono trasferite tutte le competenze a Detroit, a che pro tenere aperti due siti? E non c'è solo la Fiat, ma tutto l'indotto: De Tomaso e Ital Design finiti in mano straniere. Le aziende di componentistica, ora in cassa integrazione (la Lear e la Johnson Control). Tutte aziende e persone, che stanno aspettando cosa farà la Fiat.
Anche qui si sta avvicinando il momento in cui alle persone verrà dato un lavoro con condizioni peggiorative, dicendo “meglio un brutto lavoro, che niente lavoro”. E si continua a parlare di articolo 18, di competitività, di riforma del welfare, dimenticandosi che, senza lavoro, nulla di tutto ciò ha senso. Senza lavoro, che fondamento ha questa Repubblica?
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