Quando chiedo ai miei allievi del corso INTELLIGENZA FINANZIARIA (al cui proposito ti ricordo che l’ultima edizione dell’anno si terrà i prossimi venerdì/sabato 10/11 giugno a Reggio Emilia, ULTIMI POSTI DISPONIBILI!) quale sia la loro opinione sulla destinazione finale del proprio denaro, quasi sempre mi sento rispondere cose come “la casa, il cibo, i divertimenti etc.” che sicuramente rappresentano capitoli di spese importanti ma non la prima voce di salasso per i nostri portafogli che è invece rappresentata dal fisco.
Secondo il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, giusto da ieri, sabato 5 giugno, il cittadino italiano medio inizia a lavorare per sè stesso dopo essersi visto rapinare dal fisco vampiro il frutto prodotto dalle proprie fatiche dal primo di gennaio fino ad oggi (qui la notiza originale riportata da TgCom).
“Anche quest’anno, così come era successo nel 2010 – prosegue Bortolussi - si sono resi necessari 155 giorni di lavoro, ben 40 giorni in più rispetto al dato registrato nel 1980“.
Per arrivare alla data del 5 giugno, l’Ufficio Studi della Cgia ha preso in esame il dato di previsione del Pil nazionale e lo ha suddiviso per i 365 giorni dell’anno, ottenendo così un dato medio giornaliero. Dopodiché, ha considerato il gettito di imposte, tasse e contributi che verseremo allo Stato, e lo ha diviso per il Pil giornaliero. Il risultato di questa operazione individua per l’appunto da oggi domenica 6 giugno la data a partire dalla quale gli italiani lavoreranno per sé e non più per il fisco.
Sempre secondo la Cgia di Mestre, sui contribuenti italiani grava una pressione fiscale che arriva a toccare il 51-52%, un carico che non ha eguali in Europa tranne nei casi di Svezia e Danimarca che hanno una tassazione superiore alla nostra ma che ricompensano i propri cittadini con un livello di servizi e un supporto ai singoli e alle imprese che in Italia non ci sogniamo neppure.
In effetti il ragionamento per il quale si lavora circa o persino oltre il 50% dell’anno per lo Stato invece che per noi stessi e per le nostre famiglie è tutt’altro che una novità, di anno in anno e a seconda dei numeri presi in considerazione, qualche simpatico opinionista si diletta a comunicarci un dato drammaticamente in linea con quello di Bortolussi che, opinione personale, mi sembra essere stato piuttosto bonario nei confronti del vampirico fisco italiano, quasi avesse paura di rovinarci il week-end già funestato dal maltempo e dal nuovo scandalo scommesse appena scoppiato nel mondo del calcio.
Ancora più pressante l’appello pronunciato qualche giorno fa a Milano Finanza (clicca qua per l’articolo originale) dal Governatore del Veneto, Luca Zaia secondo il quale dal 2013 nel Veneto sarà dura confrontarsi con gli imprenditori se non si sarà varata una riforma che abbassi significativamente la pressione fiscale totale, a suo parere attualmente al 68% !!!
I numeri possono quindi essere ballerini e sicuramente non è mai stata intenzione di alcun governo o governante di nessun colore politico creare in Italia un sistema fiscale non solo nè equo nè leggero ma neppure facilmente comprensibile ai cittadini tanto è vero che anche chiedendo ad un commercialista non si riesce ad ottenere una risposta esaustiva sul reale livello di pressione fiscale a cui siamo sottoposti.
E’ la stessa strategia di confusione comunicativa utilizzata dalle banche che si guardano bene dal presentare ai propri correntisti e risparmiatori una semplicissima casella che riporti il rendimento netto dei propri investimenti, essendo decisamente consigliabile dal loro punto di vista confondere le acque il più possibile per non mostrare l’evidenza di numeri che risulterebbero assai sgraditi.
Quanto è certo è che se sommassimo agli scaglioni irpefe alle altre aliquote più conosciute il valore dell’iva (che aumenta significativamente i costi dei prodotti per i privati che non la possono detrarre e, allo stesso tempo, diminuisce in maniera importante i margini di guadagno di imprese e liberi professionisti), ci aggiungessimo l’INPS (c’è ancora qualcuno che crede che rivedremmo sotto forma di pensione più di una miserrima parte dei contributi che versiamo annualmente nell’orrido calderone?) e tutti gli altri balzelli più o meno mascherati, dalle accise sulla benzina al canone Rai, dalla tassa sui rifiuti ai bolli di auto, passaporti, documenti etc. rimarrebbero pochi dubbi sul fatto che per ogni 100 € prodotti ne rimangano assai pochi nelle nostre tasche.
Mi veniva da piangere quando, qualche settimana fa, il Sole 24 Ore pubblicando il dato della dichiarazione dei redditi congiunta del Presiden
te USA Barack Obama e di sua moglie Michelle per l’anno 2010 (1,7 milioni di dollari di reddito proveniente soprattutto dai diritti d’autore dei propri libri) citava le imposte pagate dalla celebre coppia (505.338 dollari tra tasse statali e federali) in pratica il 29% del reddito prodotto. Si noti che stiamo parlando dell’economia più importante del pianeta (che sta oltretutto mantenendo un apparato militare imponente impegnato attualmente in 3 conflitti caldi tra Afghanistan, Libia e Iraq) e di un fisco USA notoriamente assai rigoroso e severissimo con gli evasori fiscali. Decisamente, quando leggo i libri di Kiyosaki o ascolto dal vivo T. Harv Eker e li sento lamentarsi del sistema fiscale USA e del loro livello di tassazione mi viene da invitarli a fare business in Italia per 1 o 2 anni per poi riparlare delle proprie teorie e lamentele!!!Tornando a noi, e astenendomi da considerazioni di carattere politico visto che tutto sommato non sono il tema di questo blog, rimane da rispondere alla domanda più importante: “Quindi, che fare? Come difendersi il meglio possibile dallo Stato Vampiro?“
Invitandoti a partecipare al corso INTELLIGENZA FINANZIARIA per ampliare il discorso e apprendere le strategie pratiche, posso comunque utilizzare questo spazio per buttarti lì tre idee:
- Guardati attorno. Esistono molti modi diversi per produrre del reddito e sono tutti tassati in modo differente così come crea differenza lavorare come dipendente, come imprenditore o come libero professionista, utilizzare una partita iva individuale oppure costituire una società, operare tramite una srl oppure una sas, produrre reddito in Italia oppure all’estero etc.
- Sollecita attivamente il tuo commercialista. Questo consiglio è ovviamente una diretta conseguenza del precedente ma il punto qui è sul comprendere come opera il tipico commercialista e non illudersi che lui ragioni attivamente e costantemente sullo scovare idee e procedure per permetterti di pagare (quantomeno legalmente) meno imposte. Non funziona così. Se non sarai tu a sollecitarlo attivamente almeno 1-2 volte all’anno e a testare con lui i vari ambiti di azione con tutta probabilità lui si limiterà a curarti la contabilità ma il suo livello consulenziale sarà assai scadente e latitante
- Produci reddito tramite i tuoi investimenti!!! Questa è una delle chiavi operative dei miei corsi e non solo per i ritorni importanti che si possono ottenere nel giro di qualche anno anche partendo da capitali modesti (fai girare due numeri sulla “Fabbrica della Ricchezza” per rendertene conto!) ma anche e soprattutto perchè la resa da investimenti è trattata fiscalmente molto meglio del reddito da lavoro. Lo so, è paradossale ma è così.
Le rendite finanziarie (investimenti in azioni, ETF, titoli di stato etc.) sono ad esempio attualmente tassate al 12,5% sulla plusvalenza che è una bella differenza rispetto al 50% che tra correre e scappare tipicamente si finisce sempre per pagare sul reddito d’impresa.
Parlando di INTELLIGENZA FINANZIARIA, se sei un imprenditore o un libero professionista e dedichi al tuo lavoro oltre 50 ore alla settimana per produrre 60.000 € di reddito lordo annuo, sai benissimo che alla fine del salasso fiscale potrai spendere per te stesso e la tua famiglia circa 30.000 €
Se invece, oltre a quello che produci con il tuo lavoro, ti impegnassi un’ora e mezza aggiuntiva ogni settimana e, utilizzando un capitale discretamente importante accumulato e risparmiato negli anni precedenti, riuscissi a ottenere dalla resa dei tuoi investimenti altri 60.000 €, di questi ultimi ti rimarrebbero in tasca ben 52.500 € … fa una bella differenza, non credi?
Concludendo, abbiamo a che fare con un fisco che definire vampiro è ancora poco, nostra è però la responsabilità di difenderci e organizzare le nostre azioni al meglio per godere maggiormente dei frutti dei nostri sforzi.
Lo spazio d’azione, sempre legalmente parlando, esiste ed è lì pronto per te, basta saperlo sfruttare.
Alla prossima, stay tuned!
Roberto Pesce
COMMENTI (1)
Inviato il 07 giugno a 01:37
Quando si parla di rendite finanziarie si rischia sempre di cadere vittima di illusioni ottiche. Per esempio è vero che c'è una tassa del 12,5% sul capital gain e sui dividendi generati da un'azione quotata in borsa. Ma sia i capital gain che i dividendi sono riconducibili all'utile netto dell' impresa sottostante. E l'utile netto è netto perchè l'azienda paga prima di distribuire dividendi le tasse sugli utili aziendali: questi ammontano al 30-40% in genere. La tassazione totale in capo all'azionista (che in sostanza detiene la proprietà di una piccola parte di un'azienda) è del 12,5+35 = 47,5% in media. Fai pure 50%. Quindi dire che le rendite finanziarie pagano poche tasse è fondamentalmente sbagliato. Un'azionista paga tante tasse quante ne paga un'imprenditore, se non di più: un piccolo azionista non può certo evadere come molti imprenditori riescono a fare. Purtroppo questa ignoranza fondamentale oggi è molto diffusa grazie alla demagogia di molti politici e di molti sindacalisti che cercano sempre di ficcare le loro mani nelle tasche dei cittadini: anche i piccoli risparmiatori sono soggetti potenziali da spremere all'occorrenza.