Non vi è dubbio che il significato più importante attribuibile alle primarie sia legato al raggiungimento di un atto di democrazia di forte levatura.
Chiamare i propri iscritti, i propri simpatizzanti o anche una parte dei delusi del centrodestra a scegliere il futuro candidato premier in seno al partito politico più importante del paese è e resterà il più grande strumento di partecipazione collettiva al voto, il segnale del richiamo al bene comune, inteso come valore democratico ed aggregante.
Matteo Renzi, la figura senza dubbio più discussa tra i cinque candidati, ha ottenuto un risultato eccellente posizionandosi a meno di dieci punti percentuali dal segretario del partito, Pierluigi Bersani che, per il momento, dovrà soltanto festeggiare la massiccia affluenza alle urne di più di tre milioni e mezzo di cittadini che a questa contesa, dai toni a tratti duri e dall’esito in molti momenti incerto, hanno saputo dare l’unico vero imprinting partecipativo e liberale.
La distanza tra Renzi e Bersani permette di aprire una settimana decisiva in attesa dello scontro nel ballottaggio. Sarà uno scontro vero e per certi aspetti dall’esito ancora incerto in quanto la logica asettica dei dati non dà assolutamente per vincente il segretario né per certamente sconfitto il sindaco fiorentino.
La dislocazione geografica delle preferenze, tuttavia, offre come al solito notevoli spunti di riflessione poiché, se da un lato, le città di appartenenza offrono ancora la certezza di una roccaforte sicura per ciascuno dei contendenti, dall’altro lato, non così scontata poteva apparire alla vigilia del voto la vittoria renziana nelle “penisole” della antica tradizione rossa come l’Umbria e la Toscana, per capire, le aree da sempre caratterizzate da una fenomenologia politica aderente alla linea risalente al Pc.
Bersani, dal canto suo, conquista le aree metropolitane di Roma, Milano, Bologna e Napoli dove la crisi ed il disagio sociale acuiscono maggiormente la sofferenza delle persone.
Molto entusiasticamente si è affermato che la massiccia partecipazione popolare alle primarie rappresenta il superamento della crisi di identità politica dell’elettorato, sfiduciato dalla atavica incapacità della classe dirigente nel non aver saputo dare in questi anni delle risposte adeguate alle urgenze determinate dalla crisi.
In questa direzione, il megafono della protesta del grillismo sembrava aver inciso ancora più profondamente nel convincimento delle persone verso l’astensionismo come la migliore risposta alle incapacità ed al dilettantismo che, a tratti, la politica ha saputo drammaticamente rappresentare in scena nel ventennio appena trascorso.
Tuttavia, è bene tenere ben ferma e chiara la diversa natura del voto in manifestazioni elettorali come le primarie dalla partecipazione alle urne a cui è chiamato l’elettorato nel determinare la configurazione politica del Parlamento ed i rappresentanti che comporranno la compagine di governo guidata da un leader legittimato dal consenso democratico.
L’ottima risposta partecipativa al voto di ieri non dovrà trarre in inganno circa un cambio di umore dell’elettorato poiché l’ampia preferenza ottenuta da Renzi ha al proprio interno un significante molto preciso: una parte dell’elettorato del centrosinistra ha chiesto un cambio di passo netto in risposta alla sterile opposizione che in questi anni l’Unione, prima, la Margherita ed il Pd, dopo, hanno saputo proporre agli esecutivi berlusconiani.
Renzi, è fatto quasi indiscusso, ha l’appeal giusto per piacere anche ad una parte dell’elettorato
del centrodestra che vede all’interno del proprio blocco un processo implosivo di sfaldamento ed una confusione determinata anche dalla sclerosi logorante di un padre padrone non più in grado di tenere le fila e portare avanti una linea politica che sia rappresentativa di tutto il partito e, soprattutto, convincente per gli elettori.
Bersani uomo che piace forse un pò meno al popolo della sinistra o Renzi uomo che piace troppo ad una parte del centrodestra.
L’afflusso massiccio della gente a questa chiamata elettorale, pur dal contenuto civico e democratico indiscutibilmente importante, non sarà un segnale identificativo di una continuitas nelle partecipazioni all’election day del 2013.
Il Parlamento non ha saputo dare ancora al Paese una nuova legge elettorale e anche questo pieno passo mancato peserà nella già flebile fiducia dell’elettorato verso la classe politica.
Si diceva, una cosa è il voto di protesta nella ricerca di un homo novus che anche le stesse primarie in seno al Pd possono esprimere, altra cosa sarà la chiamata al voto per l’elezione del Parlamento italiano. Non saranno sufficienti pochi mesi di campagna elettorale per colmare un vuoto, che sembra abissale, tra il palazzo e la comunità né, tuttavia, saranno decisivi i proclami di quei movimenti che certamente hanno tratto buona linfa elettorale dai moti di protesta.
Ponendo uno sguardo sul mondo, in Catalogna la lista formata da Izquierda Unida è entrata in Parlamento, segno di una richiesta della gente nel ricercare in antiche politiche di sinistra la risposta alla disuguaglianza ed alla sperequazione sociale nonché una rinnovata affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo catalano.
La situazione in Spagna presenta criticità preoccupanti. In Andalusia la disoccupazione sfiora il 40% e la generalizzata protesta sociale sfocia ormai in azioni dirette dei coltivatori che occupano le terre incolte, non solo del latifondo ma anche del demanio militare, costringendo il Ministero della difesa ad una difficile resistenza.
Nella sinistra dal “vecchio cuore rosso” la gente stremata sembra ricercare nuove ed antiche risposte. Forse Sel ed il suo illuminato leader, Niki Vendola, elaborate le dovute riflessioni a margine di queste primarie, potrebbero trovare in Rifondazione comunista un nuovo alleato piuttosto che nella coalizione dei democratici che, a sua volta, potrebbe pensare di raggiungere un accordo strategico con l’Udc.
Cristian Curella