Che tempi sono questi in cui
un discorso sugli alberi è quasi un reato
perché comprende il tacere su così tanti crimini!Bertolt Brecht
Dopo un primo, istintivo e liberatorio sollievo “da sopravvissuta”, ecco che adesso provo un confuso disagio nello scrivere alcunché: vuoi per i fatti giapponesi, appunto; vuoi per quelli libici e sconsideratamente anche nostri, che seguo con uno sgomento ancora maggiore perché scelti dall’Uomo e quindi idealmente evitabili; vuoi per certe cose tutte mie, pensieri zitti stanchi e sconsolati, piccoli precipizi di cui ormai conosco ogni spigolo di pietra, ogni falso appiglio, ma che nonostante ciò restano trappole da cui non so difendermi. Mi resta dentro poco spazio per il resto, e quel poco che rimane è oscuro, teso, difficilmente condivisibile. Ecco tutto.
Teierina imbacuccata, ieri, con un vento freddo intorno che quasi me la portava via. Io, accanto, con uno scialle scuro, nodi nei capelli e qualche verso accartocciato.
Il tè per me è quantomai rifugio, in questi giorni; ma più segreto e schivo, direi quasi pudico, forse anche per il suo essere turbato da lunghi pianti asciutti, privi del sollievo delle lacrime, e da “astratti furori” che mi rimbombano dentro come snervanti tamburi di guerra.
Tornerà il tempo, certo che tornerà. Intanto oggi è Primavera, dopotutto, e io sento più che mai il bisogno di accoglierla, nonostante terremoti e missili, e tutta questa paura (ché di paura si tratta, in fondo), e tutta questa follia (ché un uomo con un’arma in mano ha in sé tutta la follia del mondo, tutta l’imbarazzante pochezza del cervello umano, sempre).
Come un timido e impacciato rito propiziatorio: coriandolo soffiato contro un tornado, a colorare il vortice, sperando di vederlo distrarsi, prima, e rallentare poi. Gentilmente.
Hiroshige, Giardino di susini a Kameido (1857)
La primavera, che un giorno
apparve con il suo seguito
nel mio giardino,
s’alzò chiassosa
nell’abbondanza d’innumeri petali,
nel melograno, nelle campanule,
nelle nuove foglie, di foresta in foresta:
con i suoi molteplici baci
turbò l’azzurro del cielo:
fece poi ritorno silenziosa
nel mio eremo deserto:
senza battere ciglio
rimane ferma,
nascosta in un angolo
della mia casa solitaria:
guarda lontano, verso l’orizzonte,
dove il verde svanisce
e muore l’azzurro del cielo.Sul Gange, 3 febbraio 1915
Rabindranath Tagore, da Stormi nel cielo, in La poesia della natura
Concedetevi almeno una tenerezza, oggi (meglio se due, meglio se tre).
E buona Primavera :-)