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Prime crepe nel governo del Professore. La riforma del lavoro e il decreto sulle liberalizzazioni come fuochi d’artificio.

Creato il 24 marzo 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Prime crepe nel governo del Professore. La riforma del lavoro e il decreto sulle liberalizzazioni come fuochi d’artificio.Prima o poi doveva accadere. Uno può essere “professore” per vocazione, englishman per indole, compassato quando si vuole ma quando si toccano principi superiori e si ha un po’ di sangue nelle vene, prima o poi sbotta. Tanto è successo nell’ultimo consiglio dei ministri quando sulla linea intransigente della ‘travagliesca’ “Madonna di Civitavecchia”, ElsaFornero, sono piovute le critiche di alcuni suoi colleghi, nello specifico Fabrizio Barca, Andrea Riccardi e Renato Balduzzi. La domanda che il ministro Barca ha posto alla sora Elsa è stata: “Cosa fa un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici se invece ritiene di essere stato discriminato? Come tutelerà il proprio diritto? Penso anche ai lavoratori iscritti alla Fiom. Questa è la domanda cruciale”, ha concluso Barca. Sulla stessa linea si sono ritrovati Riccardi e Balduzzi mentre Giarda, perplesso, ce l’aveva più con Grilli per la mancata presentazione del testo definitivo sulla delega fiscale e per essere stato lasciato in balia degli insulti e degli sfottò in Parlamento quando non ha spiegato perché il governo non aveva rinviato alle Commissioni le osservazioni della Ragioneria dello Stato sul dl liberalizzazioni. Forse per la prima volta da quando si è insediato, il governo del Professore si è diviso su una norma in corso di approvazione. Sono apparsi i falchi e hanno fatto capolino le colombe e il ministro Fornero ne ha approfittato per vestirsi di martirio quando ha detto (fra le lacrime), “Sono giorni ormai che vado in giro con una scorta di dieci maschiacci”, meritandosi subito l’appellativo di Giovanna D’Arco da parte di Anna Maria Cancellieri, ministro dell’Interno. Mentre il presidente Napolitano continua a definire in modo sospetto il Governo aggiungendo il possessivo “nostro” e invitando le parti sociali a più miti pretese, l’aria che si respira è quella di fronda interna. Non sarà facile prendere la decisione finale sulla riforma del lavoro anche perché cresce il malumore nei confronti dei “banchieri” che hanno reintrodotto la commissione sui fidi e sui prestiti in un primo tempo non prevista. Il presidente Monti a un certo punto ha dovuto abbandonare la seduta dei consiglio dei ministri che si stava protraendo oltre il previsto, per un impegno a Milano. A sostituirlo avrebbe dovuto pensare Giarda il quale, incazzato come una iena con Grilli, ha lasciato il campanello al ministro Gnudi che si è ritrovato a gestire la lite scoppiata improvvisamente anche fra Catricalà e Patroni Griffi. A Milano, il Professore aveva ospiti a cena. Non conosciamo il menù preparato dalla signora Elsa però sappiamo chi Monti avrebbe sfamato: il presidente del Senato Renato Schifani e il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli. Ora. Premesso che di Schifani non ce ne frega una mazza, non possiamo dire altrettanto del direttore del Corsera. Questo è il giornalismo che non ci piace, che non ci affascina anzi, ci irrita, che ci rende sospettosi e poco propensi a giustificare le nefandezze dei nostri colleghi. A cena con il presidente del consiglio a casa sua no, direttore, proprio no.  

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