Questi cuccioli sanno fare poche cose oltre a dormire, mangiare, fare pipì, cacca e sporcare pannolini in quantità industriale…. A si sanno anche piangere. Nicolò piange se ha fame, piange se ha sonno, piange se deve fare la cacca, piange se ha aria nello stomaco, piange se ha il pistolino all’aria (tutti hanno le proprie debolezze, quella del pistolino scoperto è la sua). Non è facile quindi interpretare il singolo pianto a quale dei messaggi che lui intende mandare, corrisponda. Si va quindi per esclusioni, inizi a provarle tutte fino a quando per la legge dei grandi numeri, becchi l’azione giusta a cui corrisponde una sua reazione giusta, quella di acquetarsi. Ovviamente prima di fare la cosa giusta ne hai provate altre tremila che erano sbagliate, e che lo hanno fatto indispettire ulteriormente, provocando un aumento in decibel del tono del suo pianto. Durante le sue crisi di pianto cerchi quindi di correre alla velocità della luce, sperando di riuscire a placarlo, prima che l’inquilino del piano di sotto venga a suonarti alla porta facendoti presente che i rumori molesti non sono graditi alle quattro del mattino.
Insomma in questo mese di Ottobre le mie giornate passano così, tra pianti furibondi in cui Nicolò sembra un riposseduto, cambi di pannolini che incrementano la spazzatura di Roma facendo aumentare il rischio che la città diventi una seconda Napoli, e bagnetti al cardiopalma che temi sempre che il bambino ti sgusci via e vada a finire tra le braccia di quella del primo piano. Dicono che siano così solo i primi mesi,e me lo auguro, perché sarebbe carino uscire da questo empasse di pipì cacca e nanna per fare qualcosa di un po’ più esaltante.
In compenso comunque ci sono momenti in cui il tuo riposseduto, ti fa sciogliere di tenerezza e gli perdoni le cacche, le pipì, le levatacce, le puzze, le tutine zuppe di pipì pronte da lavare. Nicolò ad esempio mi sconquassa di dolcezza quando lo avvicino alla mia guancia e con quella sua boccuccia mi “sbavazza” tutta come fossi un gelato libidinoso, quando incrocia gli occhi per mettermi a fuoco e nel momento in cui finalmente ci riesce mi stampa un sorriso luminoso che gli riempie il viso, o quando stira e flette le gambine come se avesse le coliche e allora io lo prendo in braccio per calmarlo e lui si acqueta ranicchiandosi nell’incavo tra collo e braccia, facendomi seriamente sospettare che quella delle coliche era solo una scusa per stare vicini vicini.