di Antonio Sparzani
Oggi è il primo maggio del duemilaundici e non mi piace quello che ho visto e che vedo intorno a me. Adesso vi faccio l’elenco, così magari mi confortate.
1. Questa mattina sono andato alla “grande tradizionale manifestazione” del primo maggio per le vie di Milano. Eravamo pochi e il corteo, partito, come da manuale, dai bastioni di Porta Venezia, ha percorso corso Venezia, ma poi, invece di percorrere corso Vittorio Emanuele per sfociare in piazza Duomo, quando è arrivato in piazza San Babila ha girato a destra in corso Matteotti arrivando così in piazza Scala dove ci sono stati i comizi. Non riempivamo neppure piazza Scala, e i comizi erano sottotono. Perché non siamo andati in Duomo? La domanda ci porta al punto seguente.
2. In piazza Duomo ‒ come ho poi visto al telegiornale della Lombardia delle 14.00, ci stava lo schermo gigante supertecnologico che trasmetteva in diretta da piazza San Pietro in Roma la cerimonia di beatificazione di Karol Wojtyła, in arte papa Giovanni Paolo II. Bisogna dire che questo Benedetto papa, attualmente regnante, sta imparando rapidamente la lezione del suo beatificato predecessore, la scelta della data della cerimonia di beatificazione è straordinaria, degna di lui: il primo maggio, una data del tutto casuale, una domenica come tante, complice la combinazione astrale che ha voluto che nel 2011 il primo maggio cadesse (si noti il non casuale verbo) di domenica. La Chiesa Romana ottiene così il duplice scopo di svuotare per un anno la festa, troppo laica, del lavoro, e di rendere onore al papa che è entrato così pesantemente nella politica del suo tempo, nei modi e coi tempi che tutti ben ricordiamo.
Detto tra parentesi, i giovani rampolli della tedesca casa reale del Regno Unito ‒ sì, di ascendenza tedesca che ha poi scelto, sempre per convenienza mediatica, di chiamarsi Windsor anziché Sassonia-Coburgo-Gotha, che non suonava bene ad orecchie britanniche ‒, hanno avuto il buon gusto di scegliere il sabato 30 aprile per il loro altrettanto superpubblicizzato evento mediatico.
All’evento di piazza San Pietro partecipa anche, leggo oggi sul Manifesto, tale signor Porfirio Lobo ‒ un nome una garanzia (lobo vale lupo in spagnolo)‒ presidente golpista dell’Honduras, eletto, si fa per dire, nelle elezioni farsa seguite al colpo di stato del 28 giugno 2009 che depose il presidente legittimo Manuel Zelaya. Perché lo stato della Città del Vaticano non ha invitato alla solenne cerimonia del primo maggio, invece del presidente golpista il padre Andrés Tamayo, che in Honduras si batte senza risparmio contro gli orrori del regime e a favore dei poveri e degli oppressi? Perché perdere un’altra, ennesima occasione? Dichiara al Manifesto padre Tamayo, portavoce del «Fronte di resistenza popolare al colpo di stato» (e che forse d’altra parte non avrebbe tempo da perdere con le beatificazioni) “L’Honduras è un paradiso in cui le multinazionali hanno allungato le mani facendo profitti senza dare nulla in cambio alle popolazioni”.
Ma tra la folla in delirio in piazza San Pietro ci stavano anche ‒ tra deliranti ci s’intende facilmente ‒ il nostro presidente della repubblica e il nostro presidente del consiglio, evento assai raro, tanto che sembra abbiano colto l’occasione per fare anche due chiacchiere, chissà, per concordare la formula migliore con la quale giustificare l’ignobile impresa libica, che mi porta al punto seguente.
3. Dev’essere la sindrome dell’anniversario: chissà se l’allora primo ministro italiano Giovanni Giolitti, iniziò la conquista della Tripolitania e della Cirenaica ‒ il 4 ottobre 1911, inviando a Tripoli contro l’Impero Ottomano 1732 marinai al comando del capitano Umberto Cagni ‒ per celebrare i cinquant’anni dall’unificazione del Regno. Naturalmente non lo so. Ma guarda caso adesso, nel fausto centocinquantesimo, il sovrano regnante decide di rinnovare, con i mezzi e con le modalità dell’oggi, la stessa politica di aggressione e di violenza. Non contenti che i nostri Tornado, che mica possono stare ad arrugginire troppo a lungo, perbacco, sorvolino, spiino e fotografino, dando quindi comunque una mano ad ammazzamenti e violenze, dobbiamo farli sparare per davvero, gliel’ha suggerito Sarkozy, simpatico compagno di alcoliche rimpatriate, e poi gliel’ha ribadito con una certa insistenza Obama, il grande democratico che doveva chiudere Guantanamo appena giunto al potere. E così ecco qua. Tanto la strada per eludere l’articolo 11 della Costituzione della nostra Repubblica l’aveva già spianata e spiegata il poco onorevole Giuliano Amato, ex presidente del consiglio di parte cosiddetta sinistra, con una sinistra argomentazione di cui già mi sono lamentato qui.
4. Last but not least, ieri, 30 aprile, è morto un grande, un grande scrittore, Ernesto Sábato, vedi qui.
Adesso provate a consolarmi.