Mercoledì 22 ottobre scorso Il Fatto Quotidiano ha pubblicato, sulla versione cartacea del giornale, un articolo che riprendeva i risultati di un’analisi sui bilanci dei principali gruppi editoriali condotta dal Ufficio Studi di Mediobanca.
Articolo molto interessante, anche se forse dal titolo eccessivamente scandalistico, ripreso in maniera ancor più sensazionalistica, come’abitudine, da Dagospia.
Come viene riportato nell’articolo, lo studio è disponibile sul sito dell’Ufficio Studi di Mediobanca. Visto che lo studio integra l’analisi effettuata dal nostro gruppo di lavoro [1, 2, 3 & 4] aggiornandola con i dati del primo semestre 2014, al di là di quanto scritto da Il Fatto Quotidiano, mi pare utile approfondire quanto emerge.
I gruppi editoriali presi in considerazione sono 7: Gruppo RCS MediaGroup, Gruppo Mondadori, Gruppo Editoriale L’Espresso, Gruppo Il Sole 24 ORE, Gruppo Monrif, Gruppo Caltagirone Editore ed Editrice La Stampa. Si stima che nel loro insieme i sette gruppi considerati rappresentino a fine 2013 il 70% circa dei ricavi complessivi del settore editoriale italiano.
L’evoluzione recente dei maggiori gruppi editoriali italiani si inquadra in una tendenza di più lungo periodo che ha visto in Italia un diffuso processo di disaffezione verso la carta stampata quotidiana. Secondo i dati FIEG a tutto il 2013 le vendite dei quotidiani sono calate del 45% rispetto al 1990, fenomeno fattosi particolarmente intenso dal 2008 [-31%]. Nel quinquennio 2009–2013 i ricavi aggregati dei sette maggiori gruppi editoriali italiani hanno segnato una flessione del 27,7%, ovvero dai 5,8 mld. di euro del 2009 ai 4,2 mld. del 2013.
In dettaglio le riduzioni hanno riguardato la raccolta pubblicitaria [-31,3]), la diffusione [-29%] e i ricavi accessori (-16,7%). Il calo più consistente riguarda RCS [-40,4%], su cui ha pesato anche la cessione del Gruppo francese Flammarion nel settembre 2012 — oltre 200 milioni di euro il suo giro d’affari — Gli altri Gruppi hanno perduto quote di fatturato che oscillano tra il 29% di Caltagirone ed il 17% della Mondadori che ha segnato il calo più contenuto.
La composizione dei ricavi è variegata tra i Gruppi editoriali: la raccolta pubblicitaria è più rilevante per L’Espresso e Caltagirone [rispettivamente 56%-57% del totale], la diffusione conta di più in RCS, La Stampa e Mondadori [53–55%].
Davvero peculiare la posizione de Il Sole 24 ORE, ove un quarto dei ricavi è generato dall’area software, che ha portato ricavi attorno ai 100 milioni [prima essere ceduta nel maggio 2014!!!]. Mondadori genera un quarto delle vendite dai libri, e Monrif che comprende attività alberghiere per circa 20 milioni di fatturato.
Nel quinquennio Mondadori ha subìto la maggiore caduta di ricavi pubblicitari [-43,2%], ma tutti gli editori hanno segnato flessioni superiori al 30% con l’eccezione de L’Espresso che ha contenuto la riduzione al 18,9%.
È interessante notare come per il Gruppo Espresso, nel periodo preso in considerazione, i ricavi “altri” crescano di ben l’80%. Incremento che però serve a poco nel risollevare le sorti del gruppo in questione poichè si tratta di quello per il quale questa voce di ricavi ha la minor incidenza sul bilancio.
Andamento che, come noto, ha trascinato l’occupazione che si è ridimensionata nel quinquennio del 22,3% coinvolgendo circa 4.200 dipendenti [ed oltre 10mila edicolanti].
Downsizing, ricambio e provvedimenti contrattuali [cassa integrazione e solidarietà] però non hanno inciso in pari misura sul costo del lavoro, passato dagli 82mila euro medi del 2009 agli 81mila del 2013. Ne ha risentito il Clup [costo del lavoro per unità di prodotto], cresciuto dal 94,3% al 109,5%.
La perdita di competitività dei maggiori editori tra 2009 e 2013 è pari a 13,7 punti percentuali [differenziale tra la caduta di produttività del 14,9% e la modesta contrazione del costo del lavoro unitario dell’1,2%]. Mondadori e RCS segnano il maggiore deterioramento di competitività [-23 punti circa], Monrif e La Stampa i minori [8 e 9 punti rispettivamente].
Il margine operativo netto è in deciso peggioramento per tutti i gruppi editoriali presi in considerazione.
Sulla base di un indice normalizzato che sintetizza tre indicatori di efficienza, redditività operativa e struttura finanziaria [Clup, MON/Fatturato e debito finanziario/capitale netto], si può ricavare una classifica delle grandi società per performance complessiva. Nel 2013 L’Espresso risulta il best performer, mentre il Sole 24 ORE ha il profilo meno virtuoso. Nel 2009 L’Espresso occupava la medesima posizione, all’ultimo vi era La Stampa, l’unica società ad avere migliorato nell’ultimo quinquennio la propria posizione, recuperando due posti in classifica. Mondadori si conferma seconda in classifica, seguita da Caltagirone e RCS [stabili al terzo e quarto posto]; Il Sole 24 ORE perde due posizioni scendendo in ultima posizione.
Il rapporto di Mediobanca sul pessimo stato di salute dell’editoria italiana contiene molte altre informazioni ed indicatori d’interesse. Come d’abitudine non posso che consigliarne la lettura integrale al di là della mia sintesi.
Gli aspri numeri indicano con chiarezza che ad oggi nessun gruppo editoriale è riuscito a trovare il bandolo della matassa.
Più che nella riduzione degli organici, che oltre un certo livello rischia inevitabilmente di mettere seriamente a rischio la qualità del prodotto, dei giornali, si tratta di intervenire in termini di strutturazione, riorganizzazione e riqualificazione degli stessi.
Quando, come in questo caso, le imprese viaggiano su due binari paralleli che, nella migliore delle ipotesi, non si incontrano, con la parte giornalistica da un lato e quella gestionale dall’altro, come avviene nella grande maggioranza delle testate ancora oggi, le cose non possono funzionare.
Più che sul taglio dei costi, doveroso in tempi di crisi [a tal proposito si rammenta il valore dell’informatizzazione delle edicole], si tratta di intervenire sulla crescita dei ricavi.
Crescita che deve passare:
- Attraverso un profondo ripensamento del prodotto sin qui sottoposto, sia nella versione cartacea che in quella digitale, a rivisitazioni più o meno azzeccate che ne hanno di fatto lasciata intatta la struttura di base.
- Aprendosi davvero al pubblico, appropriandosi anche a queste latitudini dell’idea di openess sul quale si basa il crescente successo del Guardian
- Diventando punto di riferimento essenziale della propria comunità di riferimento, costruendo intorno alla stessa una serie di benefici materiali ed immateriali che consentano di valorizzarla, anche economicamente
- Abbandonando l’attuale logica di generazione di ricavi basata, anche per il digitale/online, solo sul binomio vendite-pubblicità, ricercando nuove fonti di ricavo [che esistono, volendo].
Buon lavoro.